La diffusione dell’islam e la fine del progresso arabo-cristiano
Teologia, filosofia, storia, medicina, matematica, astronomia sono solo alcune delle scienze (‘ulūm) che la civiltà dell’islam ha avuto in eredità in particolare grazie all’opera dei cristiani. Esse furono sviluppate durante il periodo abbaside, quando il contributo dei cristiani si rivelò fondamentale nella diffusione del sapere scientifico grazie al lavoro di elaborazione e traduzione dei testi scientifici.
Benché i piani di conquista dei popoli islamici stavano prendendo corpo, erano le popolazioni vinte a padroneggiare le tecniche della civiltà: l’agricoltura, il commercio, l’architettura, l’artigianato, l’amministrazione statale; erano grandi conoscitori delle complesse e diverse attività proprie della vita urbana, nonché delle relazioni internazionali a sfondo economico e politico tipiche dei grandi imperi. Perciò i leader islamici, nonostante la politica anti-cristiana, capirono che era necessario ingraziarsi le attive e operose Gente del Libro, arrivando persino a disincentivarne la conversione all’islam e delegando loro l’amministrazione dei territori sottomessi ma, al tempo stesso, controllandone le entrate in modo da accrescere le risorse dell’Impero musulmano.
Le vessazioni verso i cristiani furono pertanto discontinue e rivelano nella società musulmana la volontà di umiliarli e di relegarli al rango di comunità sottomessa e ma senza perseguitarli totalmente.
Chiamati alla corte di Damasco e poi a Baghdad per farne i loro medici privati o i loro accreditati consiglieri, i cristiani, composti da persone che potevano essere utili grazie ai loro saperi, vennero trattati con un certo riguardo, dato che un eventuale loro rivolta avrebbe senza dubbio paralizzato il regno.
Quasi sempre cristiani furono i medici alla corte di al-Mansūr: nel 765 il califfo, malato di stomaco mandò a chiamare il medico Gūrgīs ibn Gibrā’īl Bohtīšo’, nestoriano, direttore del famoso ospedale di Gundišapùr, in Iran. Il celebre medico non smentì la sua fama e guarì il regale paziente, guadagnandosi a corte un posto di assoluta preminenza e intervenendo presso il califfo a favore dei suoi correligionari [FIEY, Chrétiens syriaques (1980), pp. 20-23]
Ben presto però i pericoli costituiti dallo squilibrio demografico (si ricordi che gli arabi cristiani e i cristiani arabizzati costituivano ancora circa la metà della popolazione dei paesi islamici) ed i rischi derivanti dal potere economico e amministrativo detenuto ancora dai cristiani , non sfuggirono ai musulmani. Se gli interessi economici portavano a limitare la soppressione dei dhimmi, la sicurezza militare esigeva invece un incremento della presenza islamica nei territori conquistati, al fine di neutralizzare e spezzare le resistenze locali dei popoli vinti. Deportazioni, disuguaglianza di fronte alla legge, conversioni forzate, segregazione e umiliazioni misero fine a tutto questo attraverso una perfida persecuzione di Stato.
Il periodo che va dall’VIII al XI secolo, pertanto, sembra essere caratterizzato anche da una svolta irreversibile della storia dei popoli dhimmi. Dall’Egitto alla Mesopotamia, fu in quest’epoca che fecero la loro comparsa i «fuggitivi» e gli «esuli» citati dalle fonti cristiane ed ebraiche. Le popolazioni, braccate dal fisco, lasciavano i loro paesi d’origine e fuggivano dalla schiavitù. La struttura della società rurale si disgregò, le terre un tempo irrigate, coltivate a cereali, viti o ad alberi, furono abbandonate. Le città persero i loro nomi originari così l’Armonia diventò Diyarbakir, Gerusalemme al-Quds e Costantinopoli Istambul, mentre Hebron venne arcaizzata in al-Khalil. Gli esempi sul processo di islamizzazione dei territori conquistati e dei loro abitanti potrebbero proseguire a lungo.
Ma se da una parte la conversione dei popoli costretti ad abbracciare l’Islam permise una transizione dallo Stato cristiano a quello musulmano, dall’altra, la perdita delle tradizioni culturali e sociali dei popoli oppressi, causò il tracollo della ricerca scientifica fino a quel momento conosciuta e il depauperamento delle attività e dei meccanismi amministrativi andarono persi insieme alla decimazione dei cristiani e della loro identità.
Le lingue dei dhimmi vennero bandite e relegate alla sfera liturgica, e i loro monumenti, testimoni della grandezza della loro civiltà, furono distrutti o riadattati in funzione delle esigenze islamiche. In nessun campo l’infedele poté più prevalere sul musulmano. Intolleranza intellettuale e il disprezzo verso i dhimmi sostituirono la consapevolezza del bisogno delle loro competenze.
È vero che vi fu in parte un passaggio dell’eredità culturale (umanistica, scientifica, artistica) dai sopraffatti ai sopraffattori. È altrettanto vero che all’imperialismo territoriale arabo si accompagnò in parte quello intellettuale, ma il totalitarismo dell’islam ormai dominante in qualunque settore della “res publica”, unitamente all’invadenza sin nei minimi aspetti della vita sociale e privata dei cittadini e l’ostilità verso qualsiasi cosa che non fosse legata al Corano (in quanto parola esatta di Allah), impedirono una continuazione del vigore intellettuale. La spinta artistica e scientifica vennero meno e, di conseguenza, l’impulso verso il progresso si arrestò.
E così, nonostante i progressi nel campo della medicina nel “mondo arabo“, fu in quell’Europa che una certa storiografia poco obiettiva ha per secoli dipinto buia e arretrata, che venne spienata la strada alle più importanti scoperte scientifiche, tra cui quelle mediche con la pubblicazione nel 1543 del tarttato De humani corpis fabrica del fisico e ricercatore Andrea Vesalio (1514 – 1564). Perchè? Semplice: perché Vesalio ebbe la possibilità di sezionare corpi umani, una pratica che l’islam osteggiava. Il libro del Vesalio è ricco di immagini dettagliate di anatomia del corpo umano, cosa che l’islam osteggiò insieme alla pubblicazione dei libri stessi, impedendo che potesse avvenire lo stesso nel “mondo arabo-islamico”.