Sulle origini dell’architettura islamica
Solo negli anni più recenti la storiografia ha iniziato a sondare quel passaggio, così evidente, ma mai studiato, quale l’assunzione dell’eredità elleinco-cristiana da parte del mondo musulmano. Era infatti chiaro l’abisso che separava la cultura pre-islamica e la stessa cultura del contesto maomettano da quella di due secoli dopo. Era evidente che da qualche parte era arrivato nel nerbo stesso della cultura islamica e della sua civilizzazione un enorme apporto del cristianesimo e di quanto lo aveva preceduto e formato. Era evidente, insomma, il debito immenso che la civilizzazione islamica aveva contratto nei confronti del cristianesimo – e dell’ebraismo -, professato ai più alti livelli di elaborazione culturale (si pensi solo a città come Alessandria e Damasco) da tutti i popoli che aveva conquistato nell’arco di pochi decenni. Solo oggi, però, lavori come quello di Sylvain Gouguenheim, mettono alla luce questo debito dell’Islam nei confronti del cristianesimo e contemporaneamente riducono, sino quasi ad annullarla, la dimensione del “debito” che il cristianesimo medioevale avrebbe contratto con l’Islam, per la semplice ragione che il grande patrimonio ellenico è arrivato in Europa, come documentato, ben più per via diretta attraverso Bisanzio che non attraverso testi arabo islamici.
Per comprendere quanto intensa sia stata l’ibridazione culturale dell’Islam nascente, basta dare un colpo d’occhio al secondo edificio al mondo più sacro ai musulmani, dopo la Kaaba: la Moschea della Roccia di Gerusalemme, Qubbat al Akhara.
La sua forma e la sua struttura ci raccontano immediatezza il debito della civiltà islamica nei confronti del cristianesimo. La Moschea della Roccia sorge sulla pietra su cui – secondo i musulmani – Abramo (Ibrāhīm) portò Ismaele (Ismāʿīl) per sacrificarlo e da cui Maometto, in sella al Buraq, compì la sua ascesa ai sette cieli, guidato dall’Arcangelo Gabriele. La sua struttura, però, non deve nulla alla nascente tradizione architettonica della moschea musulmana, ed è invece quella di un martyrium cristiano, destinato al culto di reliquie.
Una struttura, dunque, che racchiude in se quanto di più raffinato avevano prodotto mille anni di tradizione architettonica cristiana, simboleggiato simboleggiato dall’applicazione in tutte le sue forme spaziali della “sezione aurea”, quella “proporzione divina” che era stata codificata otto secoli prima dai discepoli di Archimede. Sezione aurea applicata dagli architetti bizantini addirittura ai due rettangoli che formano una croce greca, di cui i dodici (altro simbolo cristiano evidenziato in blu nella planimetria) pilastri centrali sono gli angoli.
Il simbolo visivo, l’icona contemporanea dell’Islam, è stata infatti costruita da architetti cristiani bizantini fra il 687 e il 691 d.C., dal nono califfo Malik Ibn Marwan, cinquanta anni dopo la conquista araba di Gerusalemme da parte del secondo Califfo Omar.
La cupola e la struttura della Moschea della Roccia, che oggi possiamo vedere per ogni dove, anche su al Jazeera, come sui simboli di Hamas e di tanti altri movimenti fondamentalisti islamici (profondamente anticristiani, per di più, come ben sanno i cristiani di Palestina, costretti da anni ad emigrare a causa delle continue pressioni e repressioni) quale simbolo universale dell’Islam, altri non è che la copia della cupola della chiesa del Sacro Sepolcro, innalzata nel IV secolo a poche centinaia di metri, con perfetta struttura emisferica, diversa dalle cupole ogivali che entreranno nella tradizione islamica per contagio indiano attraverso la Persia.
Se poi si guarda alla Moschea di al Aqsa, secondo edificio di Gerusalemme più che sacro all’Islam (che spesso dà il suo nome all’intero complesso monumentale, come nel caso del movimento terrorista di al Fatah, fondato da Marwan Barghouti con la piena approvazione di Yasser Arafat e denominato “Brigate dei Martiri di al Aqsa”), eretta al limite della spianata delle moschee a poche centinaia di metri dalla Moschea della Roccia e costruita da architetti arabi senza il contributo degli architetti bizantini pochi anni dopo, tra il 709 e il 715, per ordine del califfo Walid, figlio di Malik, si ha un’idea visiva del differenziale di civilizzazione che esisteva allora tra gli arabi musulmani e i cristiani.
Come si vede, benché sia successiva, questa moschea ha poco a che fare con la tradizione architettonica – e anche con l’audace e sottile linguaggio di spinte essenziali – della Moschea della Roccia degli architetti cristiani bizantini. La struttura esterna della Moschea di al Aqsa, costruita pochi anni dopo da architetti arabi, coevi di quelli bizantini, è quanto di più semplice e primitivo possa esistere: mura massicce, piccole feritoie-finestre, strutture portanti elementari. L’interno, bellissimo, si articola attraverso massicce e pesanti spinte, supportate da una successione di colonne e spessi muri portanti, di grande semplicità concettuale e di semplice tecnica costruttiva. Come tutte le moschee coeve di mano araba, essa riproduceva la struttura della casa del Profeta Maometto: un ampio cortile interno sahn, portici riwaq ai lati e sala di preghiera rivolta in direzione della Mecca, segnalata dalla qibla, la nicchia sul muro. Un abisso temporale e concettuale rispetto alla scienza, alla tecnica, al raffinato gusto della tradizione ellenistico-cristiana, che fecero della Moschea della Roccia un capolavoro di esili ma perfetti equilibri, armonie, slanci.
Oggi però possiamo misurare concretamente il debito che la civiltà islamica contrasse nei confronti dell’ellenismo e del cristianesimo anche guardando alle altre due moschee che pure ci vengono presentate come le più significative della civiltà musulmana.
La moschea degli Omayyadi di Damasco, che passa per essere tra i più preziosi doni dell’arte arabo-islamica all’umanità altri non è che una stupenda basilica romana edificata dall’imperatore Costantino per ospitare le reliquie di Giovanni Battista, poi ampliata in epoca bizantina. Lo stesso Califfo Walid la trasformò in moschea nel 715 d.C., conserevando al suo interno il tempio-reliquario del Battista (citato dal Corano e quindi accettato dall’Islam), ricoperta di mosaici da artigiani bizantini, svuotata dei suoi altari e convertita in moschea con la trasformazione di tre campanili in minareti, come ben si nota ancora oggi dal minareto chiamato “di Gesù”.
La slanciata raffinatezza estetica e tecnica delle moschee della Roccia e di quella degli Omayyadi erano così inafferrabili per gli architetti arabi dell’VIII secolo, che non poterono essere imitate né usate come modello per l’architettura sacra islamica nonostante l’enorme prestigio spirituale ed artistico da sempre riscosso nella umma.
Così non è stato, invece, per un’altra importantissima moschea, Aga Sophìa (Santa Sofia a Istanbul), nota per la sua gigantesca cupola, apice dell’architettura bizantina, anch’essa eretta dall’imperatore Costantino, in seguito modificata dall’imperatore Giustiniano, poi trasformata in moschea da Maometto II nel 1453, con l’aggiunta di quattro minareti. Anche Aga Sophìa, peraltro, è stata edificata applicando in tutta la sua articolata, complessa, monumentale ma slanciata struttura la proporzione aurea, a sigillo delle profondissime radici ellenistiche della civiltà che l’ha edificata.
Passati molti secoli, impadronitisi gli architetti islamici delle tecniche costruttive bizantine e avendo fondato una propria eccellente tradizione architettonica, gli ottomani hanno infine fatto di Santa Sofia l’archetipo per le loro moschee. Un archetipo “alla Santa Sofia”, si noti, radicalmente diverso da quello delle moschee di tradizione araba e persiana, che iniziò con la costruzione della moschea di Beyazit nel 1595, per passare alla Moschea del Sultano Ahmet o Moschea Blu, sul lato opposto dell’ippodromo bizantino, a fronte del modello originale.
Architetto di Costantinopoli (1707):
La maggior parte degli architetti e dei carpentieri di Costantinopoli [Istambul] è armena. Essi dispongono di uno strumento che funziona da un lato come martello, dall’altro come ascia, e se vi aggiungono la sega non hanno bisogno di nessun altro attrezzo per costruire casa. (Charles de Fériol d’Argental, «Explication de cent estampes qui représentent différents nation du Levant avec novelles estampes de cérimonies turques qui ont aussi leurs explications», Jaques Collombat, Paris 1715, tavola 88, p.48)
Concordo. Non riuscivo a capire come fosse possibile che un popolo arretrato come quello beduino sviluppasse i pochi anni delle tecnologie che richiedono , ad essere veloci, secoli.