Storia dell’islamizzazione politica di Gerusalemme
Il ruolo di Gerusalemme nella geografia sacra dell’islam è emerso per contingenti ragioni politiche sin dai primi secoli dopo la predicazione di Maometto. La necessità di dare un ruolo sacro a Gerusalemme (ed anche ideologico-dottrinale per riempire vuoti interpretativi) nasce infatti ai tempi del califfo ‘Abd al-Malik (646 – 705), il quale sostituì il pellegrinaggio verso di essa in alternativa alla Mecca che si trovava nelle mani del suo avversario, l’anticaliffo Ibn al-Zubayr.
Qui va subito fatta un’ovvia considerazione: se Gerusalemme fosse stata davvero così importante per la religione islamica non c’è una sola ragione logica per cui nel Corano questa città non venga mai nominata. Se ne parlerà soltanto più tardi, nelle interpretazioni e nelle fiorenti tradizioni, come ad esempio le narrazioni del viaggio notturno di Maometto che viene collegato con il versetto 17:1, il quale merita un approfondimento:
Purezza a Colui che trasportò il servo [di Dio], la notte, dalla Moschea Sacra alla Moschea Lontana […] (Subhana allathina asra bi-‘abdihi laylatan min al-masjidi al-harami ila al-masjidi al-aqsa).
Quando questo brano coranico fu rivelato per la prima volta intorno al 621, un luogo chiamato la Moschea Sacra esisteva già alla Mecca. Al contrario, la “moschea lontana” era un gioco di parole, non un luogo. Alcuni dei primi musulmani lo consideravano metaforico o un luogo del paradiso.1
Nel 1953, Guillaume ha contestato Gerusalemme quale città della Mosche lontana, basandosi su al-Waqidi, ove figura una “moschea lontana” a due passi da Medina in una località chiamata al-Giranah. Si tratterebbe così di una banalissima espressione che può usare chiunque di noi, per esempio in un paesino, per indicare la chiesetta fuori del paese in contrapposizione con la sede parrocchiale. (A. Guillaume, Where was al-Masyid al-aqsà? in al-Andalus, XVIII (1953), pag. 323.)
Quand’anche la più lontana moschea fosse un luogo sulla terra, la Palestina risulterebbe una posizione improbabile per molte ragioni. Eccone alcune:
- Altrove nel Corano (30:1), la Palestina è chiamata “la terra più vicina” (adna al-ard).
- La Palestina non era ancora stata conquistata dai musulmani e di moschee non ve ne erano.
- La “moschea più lontana” veniva identificata nei luoghi all’interno dell’Arabia: o Medina2 o una città chiamata Ji’rana, a circa dieci miglia dalla Mecca, che il Profeta visitò nel 630.3
- I primi resoconti islamici su Gerusalemme, come la descrizione della visita del califfo ‘Umar nella città subito dopo la conquista musulmana nel 638, non identificano mai il Monte del Tempio con la “più lontana moschea” di cui parla il Corano.
- Le iscrizioni coraniche presenti nel mosaico lungo 240 metri all’interno della Cupola della Roccia non includono il versetto 17:1 ne alcun cenno alla storia del Viaggio notturno, il che lascia intendere che fino al 692 Gerusalemme non fosse ritenuta il luogo dell’ascensione (miʿrāj) del viaggio notturno di Maometto (a Gerusalemme le prime iscrizioni esistenti del versetto 17:1 del Corano risalgono all’XI secolo).
La forte resistenza nel primo periodo islamico di molti teologi e giuristi alla nozione di Gerusalemme come città santa dimostra la scarsità di fonti islamiche su cui fondare questa tesi.
Muhammad ibn al-Hanafiya (638-700), un parente stretto del profeta Maometto, viene citato come colui che rifiutava l’idea che il Profeta avesse mai messo piede sulla Roccia a Gerusalemme: “Questi dannati siriani” (con cui intende gli Omayyadi), “fingono che Dio abbia messo piede sulla Roccia a Gerusalemme, sebbene [solo] una persona abbia mai messo piede sulla roccia, cioè Abramo”.4
Lo storico di Bernard Lewis fa notare che nel primo periodo dell’islam “considerarono questo come un “errore giudaico, come uno dei tanti tentativi dei convertiti ebrei di inserire idee ebraiche nell’islam“.5 Infatti gli oppositori della “Gerusalemme città santa per l’islam” fecero circolare delle storie per dimostrare che vi era un’influenza ebraica. Una di queste storie riguarda un convertito ebreo di nome Ka’b al-Ahbar, che avrebbe consigliato al califfo Umar di costruire la moschea di Al Aqsa sulla roccia del Tempio (dove poi sarebbe sorta la Cupola della roccia) e che il califfo rispose accusandolo di un ritorno alle sue radici ebraiche.6
Il fatto che, mentre Maometto era in vita, i musulmani per quasi un anno e mezzo, abbiano diretto le preghiere verso Gerusalemme, ha avuto un effetto contraddittorio sul ruolo di questa città nell’islam. In parte ha sì dato prestigio e santità a Gerusalemme, ma l’ha anche resa la città che Dio ha ripudiato quando ordinò di non pregare più verso di essa.
Personalmente ho qualche dubbio che ci sia stato un cambiamento da Gerusalemme verso la Mecca; penso piuttosto ad un cambiamento tra l’Oriente e la Mecca. Gerusalemme, infatti, entra nel mondo dell’Islàm solo con le conquiste e questa versione potrebbe essere nata nel I secolo dell’ègira.
Ibn Taymiya (1263-1328), uno dei pensatori religiosi più severi e influenti dell’islam, è stato forse il massimo portavoce della visione anti-Gerusalemme. Nel suo impegno di purificare l’islam dalle impurità dottrinali (bida), ha respinto la sacralità di Gerusalemme come una nozione derivante da ebrei e cristiani. Lo studente di Ibn Taymiya, Ibn Qayyim al-Jawziya (1292-1350), andò oltre e rifiutò gli hadith su Gerusalemme definendoli falsi. In maniera più generale, i musulmani che vissero dopo le crociate erano coscienti del fatto che la grande pubblicità data agli hadith che esaltavano la santità di Gerusalemme derivava da scopi politici.
Un altro fattore che va a dimostrare la poca importanza religiosa di Gerusalemme nell’islam è che le raffigurazioni sono molto scarse in confronto con quelle di Mecca, Medina e Ka’ba.7
Tra gli scrittori moderni segnaliamo l’egiziano Muhammad Abu Zayd, autore di un libro che nel 1930 fu così radicale da essere ritirato dalla circolazione e che non è più nemmeno esistente. Nel libro si dice:
respinta la nozione del viaggio celeste del Profeta attraverso Gerusalemme, sostenendo che il Corano si riferisce in realtà al suo Hijra dalla Mecca a Madina, “la moschea più remota” (al-masjid al-aqsa) non aveva quindi nulla a che fare con Gerusalemme, ma era di fatto la moschea di Madina.8
In un incontro tra i leader arabi nel marzo 2001, Muammar Gheddafi si prese gioco dell’ossessione dei suoi colleghi per la Moschea di Al-Aqsa:
è solo una moschea e posso pregare ovunque9
Come dicevamo, l’islamizzazione di Gerusalemme venne avviata dal califfo ‘Abd al-Malik (646 – 705) e poi continuata dai suoi successori. Durante i primi secoli della dominazione musulmana avvenuta attraverso la jihad, Siria e Gerusalemme erano territori a lungo abitati dai Cristiani, ricchi di chiese rinomate per il loro splendore, come la chiesa del Santo Sepolcro e le chiese di Lydda e di Edessa. Il sovrano ‘Abd al-Malik, vedendo la grandezza e la magnificenza del martyrium (qubbat) del santo Sepolcro, si preoccupò che potesse affascinare i fedeli musulmani per cui avviò la costruzione di un edificio a forma di Cupola, ordinando che, al termine dei lavori, avrebbe dovuto dominare su tutti gli altri edifici religiosi al fine di proclamare la supremazia dell’islam. Il luogo prescelto fu la roccia dove in precedenza si trovava il tempio di Giove dei romani e, prima ancora, i due templi degli ebrei. Per la realizzazione l’antica area del Tempio dovette essere liberata dalle sue rovine e spianata. La porta d’Oro, a E dell’area, e le porte Doppia e Triplice a S furono tutte ricostruite con i materiali dell’impianto di epoca erodiana e con l’uso di elementi di spoglio. Anche per il piccolo passaggio sotterraneo nel settore sudoccidentale dello Haram (la c.d. porta di Barclay) vennero riutilizzate antiche rovine.
Il figlio di Al-Malik, Al-Walid I, fu il probabile fautore della costruzione della moschea di Al Aqsa, opportunisticamente chiamata Moschea lontana per dare alla città un ruolo nella vita di Maometto, rendendola così dottrinalmente importante per l’islam.
In epoca Omayyade sono state apportate altre modifiche. Per riferirsi a questa città, parecchi passaggi del Corano furono reinterpretati.10 Gerusalemme venne vista come il sito del Giudizio Universale. Gli Omayyadi misero da parte il nome romano non religioso per della città, Aelia Capitolina (in arabo, Iliya) e lo sostituirono con nomi in stile ebraico, Al-Quds (Il Santo) o Bayt al-Maqdis (Il Tempio) e sponsorizzarono una forma di letteratura che elogiava le “virtù di Gerusalemme”. Vennero persino fatti degli sforzi per deviare il pellegrinaggio (hajj) alla Mecca verso Gerusalemme.
La costruzione della Cupola della Roccia e della moschea di Al-Aqsa, i rituali istituiti dagli Omayyadi sul Monte del Tempio e la diffusione delle Tradizioni sulla santità del sito, furono tutti dettati da motivi politici che sono alla base della glorificazione di Gerusalemme tra i musulmani. Ciò spiega perché la Cupola della Roccia non venne costruita per essere una moschea ma piuttosto come grande edificio di rappresentanza, considerando soprattutto il fatto che in questo edificio circolare con la rupe che si erge nel mezzo, il rigido ordine di preghiera dei musulmani non sarebbe in alcun modo possibile. Perché? Per mostrare chiaramente a tutto il mondo, nel luogo più sacro, sulla nuda rupe del monte Moria, dove secondo la tradizione sarebbe dovuto avvenire il sacrificio del figlio di Abramo ordinato da Dio, che l’islam si trova in diretto legame con il capostipite degli ebrei e dei cristiani.
Ovviamente all’islam venne dato il primato in quanto rinnovatrice dell’originale religione di Abramo, eliminando le “falsificazioni ebraiche e cristiane”. Con un’intenzione propagandistica e trionfale, la Cupola della roccia venne perciò dotata di un’iscrizione per denunciare esplicitamente la dottrina della Trinità e proclamare che l’islam aveva soppiantato le religioni precedenti.
A dimostrazione del fatto che per il mondo musulmano Gerusalemme non divenne importante per motivi strettamente religiosi c’è anche il suo ripetuto abbandono ogni qual volta il fattore politico è venuto meno.
La prima caduta nell’oscurità di Gerusalemme avvenne subito dopo la fine degli Omayyadi (nel 750) e il trasferimento della capitale del califfo a Baghdad. Per i successivi tre secoli e mezzo, i libri che lodavano questa città persero di interesse e la costruzione di edifici gloriosi non solo terminò ma quelli esistenti crollarono (la cupola sopra la roccia crollò nel 1016). L’oro venne tolto dalla Cupola della roccia per pagare i lavori di riparazione di Al-Aqsa. Anche le mura della città crollarono. Peggio ancora, i governanti della nuova dinastia dissanguarono Gerusalemme e la sua regione attraversò ciò che F. E. Peters della New York University definisce “la loro rapacità e la loro indifferenza spensierata”.11 La città declinò totalmente e solo i mistici continuarono a visitarla.
Un autore del decimo secolo descrisse la città come “una città di provincia attaccata a Ramla”,12 un riferimento alla minuscola e insignificante città che serviva come centro amministrativo della Palestina. Elad caratterizza Gerusalemme nei primi secoli della dominazione musulmana come”una città periferica di importanza ridotta”.13Il grande storico SD Goitein nota che il dizionario geografico di al-Yaqut menziona Basra 170 volte, Damasco 100 volte, e Gerusalemme solo una volta, e quella volta di sfuggita. Conclude da questa e da altre prove che, nei suoi primi sei secoli di governo musulmano:
Gerusalemme viveva soprattutto la vita di una città di provincia fuori mano, consegnata alle esazioni di funzionari e notabili rapaci, spesso anche a tribolazioni per mano di sedicenti fellahin [contadini] o nomadi… Gerusalemme non poteva certamente vantarsi di eccellenza nelle scienze dell’islam o in altri campi.14
All’inizio del X secolo, osserva Peters, il dominio musulmano su Gerusalemme aveva una cultura “quasi casuale” con “nessun significato politico particolare”.15Nel 1096 Al-Ghazali (il “Tommaso d’Aquino dell’islam”) visitò Gerusalemme ma non una sola volta si preoccupò dei Crociati che tentavano di impadronirsene. Nel 1099, l’inizio della conquista crociata di Gerusalemme suscitò una risposta musulmana molto mite: ai Franchi non veniva data molta attenzione e la letteratura araba scritta nelle città occupate dai Crociati non tendeva nemmeno a menzionarli. Quindi, “le chiamate al jihad all’inizio sono cadute nel vuoto”, scrive Robert Irwin, ex dell’Università di St Andrews in Scozia.16 Nessuno shock né senso di perdita religiosa e umiliazione venne percepito dai musulmani.
Solo quando la volontà di riconquistare Gerusalemme intorno al 1150 divenne seria, i leader musulmani cercarono di sollecitare i sentimenti per la jihad attraverso l’esaltazione di emozioni verso Gerusalemme. Usando i mezzi a loro disposizione (hadith, “virtù di Gerusalemme”, libri, poesia), venne rimessa in moto la campagna di santificazione di Gerusalemme e l’urgenza del suo ritorno al dominio musulmano. Vennero coniati hadith su misura che rendevano Gerusalemme sempre più importante per la fede islamica: uno di questi attribuisce a Maometto una profezia secondo la quale l’Ultima ora sarebbe avvenuta dopo la sua morte e a seguito della conquista di Gerusalemme da parte degli infedeli. Non un singolo volume sulle “virtù di Gerusalemme” è apparso nel periodo che va dal 1100-1150 ma, guarda caso, come nota Sivan, nei sessant’anni successivi: “la propaganda di al-Quds fiorì”; e quando Saladino (Salah ad-Din) condusse i musulmani alla vittoria su Gerusalemme nel 1187, la “campagna di propaganda […] raggiunse il suo parossismo”.17 In una lettera al suo avversario crociato, Saladino scrisse che Gerusalemme “è per voi quanto è per noi, e persino più importante per noi”.18
Il bagliore della riconquista rimase luminoso per diversi decenni. Per esempio, i discendenti di Saladino, noti come la dinastia Ayyubida, che regnò fino al 1250, intrapresero un grande programma di costruzione e restauro di Gerusalemme, conferendo così alla città un carattere più musulmano. Fino a quel momento la Gerusalemme islamica era costituita solo dai santuari sul Monte del Tempio e per la prima volta vennero costruiti edifici specificamente islamici (conventi Sufi, scuole) nella città circostanti. Inoltre, fu solo allora che la Cupola della Roccia venne vista come il luogo esatto in cui l’ascensione al cielo di Maometto (mi’raj) ebbe luogo durante il suo Viaggio Notturno.19
Ma una volta tornata sana e salva nelle mani dei musulmani, l’interesse per Gerusalemme precipitò nuovamente. Il motivo è presto detto: al-Quds non era essenziale per la sicurezza di un impero esteso in Egitto e in Siria e di conseguenza, in tempi di crisi politica o militare, la città si dimostrò sacrificabile. In particolare, nel 1219, quando gli europei attaccarono l’Egitto durante la quinta crociata, un nipote di Saladino di nome al-Mu’azzam decise di radere al suolo le mura intorno a Gerusalemme, temendo che fossero i Franchi a prendere la città con le mura.20Tirare giù le fortificazioni di Gerusalemme ebbe l’effetto di provocare un esodo di massa dalla città e il conseguente declino.
Anche in questo caso il governante musulmano dell’Egitto e della Palestina, al-Kamil (un altro dei nipoti di Saladino e fratello di al-Mu’azzam), propose ai Crociati di non attaccare l’Egitto in cambio di Gerusalemme. Dieci anni dopo, nel 1229, fu raggiunto un accordo simile quando al-Kamil cedette Gerusalemme all’imperatore Federico II; in cambio, il leader tedesco promise l’aiuto militare ad al-Kamil contro il rivale al-Mu’azzam. Riferendosi al suo patto con Federico, al-Kamil scrisse le seguenti parole in una descrizione rivelatrice di Gerusalemme: “Ho concesso ai Franchi solo rovine di chiese e case”.21Stessa sorte per la città nel 1239, quando un-Nasir Da’ud, un altro sovrano ayyubide, riuscì a espellere i Franchi dalla città ma poi la cedette anche lui ai Crociati in cambio di aiuto contro uno dei suoi parenti.
Il potere dei Crociati su Gerusalemme non durò a lungo: nel 1244 l’invasione della Palestina da parte delle truppe dall’Asia centrale riportò la città sotto il dominio di un Ayyubid e da quel momento in poi la città rimase al sicuro sotto il dominio musulmano per quasi sette secoli.
In una lettera ad un futuro sovrano Ayyubide, Salih Ayyub scrisse “se i Crociati ti minacciano al Cairo, e ti chiedono la costa della Palestina e di Gerusalemme, date loro questi posti senza indugio a condizione che non abbiano alcun punto d’appoggio in Egitto”.22
Venuto meno il pericolo di un’invasione straniera, Gerusalemme cadde ancora nella sua solita oscurità: povera e in declino. Molti degli edifici più importanti, compresi i santuari del Monte del Tempio, furono abbandonati e divennero fatiscenti mentre la città si spolava. Uno scrittore del XIV secolo si lamentò della scarsità di musulmani in visita a Gerusalemme.23
Durante il dominio dei mamelucchi, Gerusalemme venne devastata a tal punto che l’intera popolazione della città alla fine del loro regno ammontava a 4.000 misere anime.
In epoca ottomana (1516-1917) le sorti di Gerusalemme non furono migliori: nel 1806 la popolazione contava meno di 9.000 abitanti. Abbiamo a disposizione numerose testimonianze storiche di pellegrini occidentali, turisti e diplomatici a Gerusalemme che descrivono le condizioni esecrabili della città.
George Sandys, nel 1611 scoprì che “i vecchi edifici (tranne alcuni) erano tutti rovinati e il nuovo era spregevole”. Constantin Volney, nel 1784 notò “le mura distrutte di Gerusalemme, il suo fossato pieno di detriti, il suo circuito cittadino soffocato dalle rovine”. “Che desolazione e miseria!” scrisse Chateaubriand. Quando nel 1850 Gustav Flaubert vi fece visita trovò “Rovine dappertutto e ovunque l’odore delle tombe”, “Sembra che la maledizione del Signore aleggia sulla città La Città Santa delle tre religioni sta marcendo dalla noia, dalla diserzione e dall’abbandono”. Mark Twain nel 1867 scoprì che Gerusalemme “ha perso tutta la sua antica grandezza, ed è diventata un villaggio povero”.
Il governo britannico riconobbe un minimo interesse musulmano per Gerusalemme durante la prima guerra mondiale, ma nel negoziato con Sharif Husayn della Mecca nel 1915-16 sui termini della rivolta araba contro gli ottomani, Londra decise di non includere Gerusalemme tra i territori da assegnare agli Arabi perché, come disse il capo negoziatore britannico Henry McMahon, “non c’era posto… di sufficiente importanza… più a sud [di Damasco] a cui gli Arabi attribuivano un’importanza vitale”.24
Fedeli a questo spirito, nel 1917 i padroni turchi abbandonarono Gerusalemme piuttosto che lottare per essa, evacuandola appena prima delle truppe britanniche. Un resoconto testimonia che erano persino pronti a distruggere la città santa: Jamal Pasha, il comandante in capo ottomano, ordinò ai suoi alleati austriaci di “far saltare Gerusalemme all’inferno” se gli inglesi fossero entrati in città.25
E qui ci fermiamo con la rassegna di alcuni dei più importanti avvenimenti storici riguardanti Gerusalemme dopo la nascita dell’islam.
Conclusione
Come abbiamo potuto constatare, per i musulmani Gerusalemme è sempre stata una pedina nella Realpolitik dei tempi.
Per capire dobbiamo fare uno sforzo di analisi psicologia del pensiero islamico: in epoca medievale, il fatto che i cavalieri cristiani partissero da terre remote per riappropriarsi di Gerusalemme, trasformò questa città agli occhi dei musulmani preziosa anche per loro. Una città così tanto ambita dagli infedeli divenne, in una sorta di sindrome da immagine speculare, cara anche ai musulmani e, insieme alle esigenze politiche li ha convinti a ritenere Gerusalemme la terza città più santa dell’islam (thalith al-masajid).
La politica, non certo la sensibilità religiosa, ha alimentato l’attaccamento musulmano verso Gerusalemme per quasi quattordici secoli; ed è ciò che lo storico Bernard Wasserstein ha scritto sulla crescita del sentimento musulmano nei confronti di Gerusalemme nel corso della storia:
spesso nella storia di Gerusalemme, l’accresciuto fervore religioso può essere spiegato in gran parte dalla necessità politica.26
Questo schema ha tre principali implicazioni:
1. Gerusalemme non è mai stata e mai sarà più che una città secondaria per i musulmani, i quali non hanno mai avuto un diffuso e radicato sentimento religioso per questa città.
2. L’interesse musulmano non sta tanto nel controllare Gerusalemme quanto nel negare il controllo sulla città a chiunque altro.
3. Il legame islamico con Gerusalemme è più debole di quello cristiano e ancor di più di quello ebraico perché è tenuto in vita da questioni mondane e transitorie e non da questioni di fede.
È la Mecca la città eterna dell’islam, il luogo dal quale i non musulmani sono severamente vietati. Molto approssimativamente, ciò che Gerusalemme è per gli ebrei, la Mecca è per i musulmani: un concetto presente anche nel Corano nel versetto 2:145 dove si dice che i musulmani hanno una qibla e “il popolo del Libro” ne hanno un’altra. Il parallelo è stato notato dai musulmani medievali; il geografo Yaqut (1179-1229) scrisse che:
La Mecca è santa per i musulmani e Gerusalemme per gli ebrei.27
NOTE
1. B. Schreike, “Die Himmelreise Muhammeds,” Der islam 6 (1915-16): 1-30; J. Horovitz, “Muhammeds Himmelfahrt,” Der islam 9 (1919): 159-83; Heribert Busse, “Jerusalem in the Story of Muhammad’s Night Journey and Ascension,” Jerusalem Studies in Arabic and islam 14 (1991): 1-40. See also Heribert Busse and Georg Kretschmar, Jerusalemer Heiligstumstraditionen (Weisbaden: Otto Harrassowitz, 1987).
2. Arthur Jeffrey, “The Suppressed Qur’an Commentary of Muhammad Abu Zaid,” Der islam, 20 (1932): 306.
3. Alfred Guillaume, “Where Was Al-Masjid Al-Aqsa?” Al-Andalus, (18) 1953: 323-36.
4 Quoted in Joseph van Ess, “‘Abd al-Malik and the Dome of the Rock,” Bayt al-Maqdis: `Abd al-Malik’s Jerusalem, ed. Julian Raby and Jeremy Johns (Oxford: Oxford University Press, 1992), vol. 1, p. 93.
5. Bernard Lewis, The Jews of Islam (Princeton, N.J.: Princeton University Press, 1987), pp. 70-71.
6. At-Tabari, Ta’rikh ar-Rusul wa’l-Muluk, vol. 1, ed. M.J. de Goeje, et al. (Leiden: E.J. Brill, 1879-1901), pp. 2408-09; text in Bernard Lewis, Islam from the Prophet Muhammad to the Capture of Constantinople, vol. 2 of Religion and Society (New York: Harper & Row, 1974), p. 3.
7. Eva Baer, “Visual Representations of Jerusalem’s Holy Islamic Sites,” The Real and Ideal Jerusalem in Jewish, Christian and Islamic Art, published as Journal of the Center of Jewish Art, The Hebrew University of Jerusalem, vol. 23-24, ed. Bianca Kühnel, (1997-98): 392.
8. Ami Ayalon, Egypt’s Quest for Cultural Orientation (Tel Aviv: Tel Aviv University, 1999), p. 7. Reference to Arthur Jeffrey, “The Suppressed Qur’an Commentary of Muhammad Abu Zaid,” Der Islam 20 (1932), p. 306.
9. Reuters, Mar. 28, 2001.
10. Examples are in Hasson, “The Muslim View of Jerusalem,” p. 353.
11. F. E. Peters, The Distant Shrine: The islamic Centuries in Jerusalem (New York: AMS, 1993), p. 71.
12. Mutahhar b. Tahir al-Maqdisi, Kitab al-Bad’ wa’t-Ta’rikh, vol. 4, ed. Clément Huart (Paris: Ernest Leroux, 1907), p. 72.
13. Amikam Elad, Medieval Jerusalem and islamic Worship (Leiden: E. J. Brill, 1995), p. 1.
14. S. D. Goitein, “Al-Kuds,” The Encyclopaedia of islam, 2d edition, vol. 5, pp. 329, 322.
15. Peters, Jerusalem, p. 214.
16. Robert Irwin, “Muslim Responses to the Crusades,” History Today, Apr. 1997, p. 44.
17. Emmanuel Sivan, Interpretations of islam: Past and Present (Princeton, N.J.: Darwin Press, 1985), p. 83, 87
18. Ibn Shaddad, An-Nawadir as-Sultaniya wa’l-Mahasin al-Yusufiya, vol. 3 (Paris, 1884), p. 265; quoted in Donald P. Little, “Jerusalem under the Ayyubids and Mamluks, 1187-1516 AD,” Jerusalem in History: 3,000 B.C. to the Present Day, rev. ed., ed. Kamil J. Asali (London: Kegan Paul International, 1997), p. 179.
19. Oleg Grabar Mohammad Al-Asad, Abeer Audeh, and Said Nuseibeh, The Shape of the Holy (Princeton, N.J.: Princeton University Press, 1996), p. 157. See also p. 113.
20. Hans I. Gottschalk, Al-Malik al-Kamil von Ägypten und seine Zeit (Wiesbaden, 1958), p. 88.
21. R.J.C. Broadhurst, A History of the Ayyubid Sultans of Egypt Translated from the Arabic of al-Maqrizi (Boston: Twayne, 1980), p. 26.
22. Quoted in Claude Cahen and Ibrahim Chabbouh, “Le testament d’al-Malik as-Salih Ayyub,” Bulletin d’Etudes Orientales, 29 (1977): 100.
23. 44 ‘Ali b. ‘Abd al-Kafi as-Subki (d. 746/XX), Shifa’ as-Saqam fi Ziyarat Khayr al-Anam (Cairo, 1318), p. 49. Referenced in Moshe Gil, A History of Palestine, 634-1099, trans. from Hebrew (Cambridge, Eng.: Cambridge University Press, 1992), p. 99.
24. Henry McMahon to John Shuckburgh, Mar. 12, 1922, in Martin Gilbert, Winston S. Churchill, vol. 4, companion document volume, part 3, p. 1805. The author thanks Sir Martin for this reference.
25. Quoted in Pierre van Paasen, Days of Our Years (New York: Hillman-Curl, 1939), p. 379. Although van Paasen’s credibility has sometimes been called into doubt, his biographers H. David Kirk and Beverly Tansey have checked out “his often colorful pronouncements against the sober realities” and found him reliable (“Pierre van Paasen’s Unheeded Warnings of a Coming Holocaust,” Midstream, July/Aug. 2000, p. 10.
26. Bernard Wasserstein, Divided Jerusalem: The Struggle for the Holy City (London, Profile Books, 2001), p. 11. On p. 13, Wasserstein notes that “political considerations have played a significant part” in all three of the major monotheistic traditions’ focus on Jerusalem.
27. Moshe Kohn, The Jerusalem Post, June 2, 2000.