Maometto contro i cristiani
Nell’ottobre del 630, ad appena nove mesi di distanza dal suo ingresso trionfale a La Mecca, Maometto indisse una nuova spedizione direttamente contro l’impero cristiano di Bisanzio. In effetti, già prima di sottomettere La Mecca, Maometto si era febbrilmente interessato della guerra in corso fra Bizantini e Persiani, pronto ad approfittare delle reciproche debolezze per estendere il dominio degli Arabi musulmani alla Siria e alla Palestina. Vi era stata qualche scaramuccia ai confini settentrionali dell’Arabia: nel settembre del 629 i Gassanidi, arabi cristiani alleati dei Bizantini, avevano sconfitto i Musulmani a Mu’ta.
Ma questa volta Maometto intendeva mettere in moto un poderoso esercito per attaccare direttamente – sarà la prima volta per l’Islam – la Cristianità: “L’esercito giunse infine a Tabuk”, – racconta Karen Armstrong nel suo Maometto. Vita del Profeta (Ed. Il Saggiatore, Milano, 2004) – “… circa 500 chilometri a nordovest di Medina, dove Maometto rimase accampato per dieci giorni. Non era un’impresa da poco stanziare un tale esercito alle porte dell’impero bizantino; i beduini dell’area ne rimasero impressionati. Mentre si trovava nella zona il Profeta stipulò vari trattati con i governatori locali. Yuhunna, il re cristiano di Eilat, nell’odierno Israele, gli pagò un tributo, come fecero tre insediamenti ebraici, a Jarba e Adhruh, nell’odierna Giordania, e a Maqna, sulla costa del mar Rosso…”.
I Musulmani stipularono un trattato di pace anche con il vescovo di Aila (l’odierna Aqaba) e con diverse tribù della Giordania meridionale.
All’inizio del 632, pochi mesi prima della morte, intervenne un altro fatto di grande importanza, destinato a determinare per sempre i successivi rapporti fra Islam e cristianesimo.
Nel profondo sud dell’Arabia, nell’odierno Yemen, vivevano pacifiche comunità cristiane, la più fiorente delle quali era quella della città di Najran. Maometto ne chiese la sottomissione all’Islam e, dinanzi ad un deciso rifiuto, pretese da quei cristiani il pagamento di un tributo (jizya), quale pegno per la loro incolumità personale e per la libertà religiosa. Scrive Silvia Scaranari Introvigne (L’Islam, Elledici, Torino, 2004): “Da quel momento (Maometto) li annoverò tra i popoli soggetti alla dhimma (protezione), la cui istituzione nello Stato islamico nascente faceva sì che i cristiani fossero sottomessi ai musulmani, tutelati nel culto ma in condizione di inferiorità rispetto ai concittadini di fede islamica”.
I successori di Maometto verranno meno anche a questo patto provvisorio, cacciando da Najran tutti i Cristiani.
Dopo aver compiuto un ultimo pellegrinaggio a La Mecca (il pellegrinaggio dell’addio) colui che si definiva “il Profeta” morì improvvisamente a Medina l’8 giugno 632, decimo anno dell’egira, proprio mentre incalzavano nuovi preparativi per le campagne militari contro Bisanzio e i Persiani.
Complessivamente durante i 10 anni del suo governo a Medina Maometto aveva organizzato 19 scontri armati. Forse un po’ troppi per la versione pacifista che si vuol attribuire al fondatore dell’Islam e che certa cultura occidentale è prontissima a recepire.
A legger bene la vita di Maometto, fra l’altro, non si scorge neanche il più volte invocato iato fra il periodo meccano (spesso considerato “pacifico”) e quello medinese (battagliero). Come abbiamo già visto, infatti, Maometto a La Mecca invocava e praticava tolleranza perché ciò imponeva il contesto politico a lui oggettivamente sfavorevole. Il suo atteggiamento cambiò radicalmente non appena il quadro politico-militare gli consentì maggiore libertà d’azione.