La Svezia ha aperto le porte all’immigrazione musulmana, oggi è la capitale occidentale dello stupro.

Articolo originale in inglese qui.

(un ringraziamento al nostro lettore per la traduzione)

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La Svezia ha aperto le porte all’immigrazione musulmana, oggi è la capitale occidentale dello stupro. Il Giappone non l’ha fatto. Mentre l’Europa si confronta con le realtà sociali e finanziarie, per la sua generosità ad aprire le porte a milioni di immigrati musulmani, è il momento di raccontare la storia di due paesi. Il racconto di come i due paesi coinvolti hanno adottato approcci completamente diversi circa l’immigrazione musulmana e la conservazione della propria cultura, fornisce un esempio importante del proverbiale canarino nella miniera di carbone.

La Svezia cominciò ad aprire le sue porte agli immigrati musulmani nel 1970. Oggi paga un alto tributo per averlo fatto. La categoria che ha subito le conseguenze più gravi di una tale politica della porta aperta, sono le donne svedesi.

Poichè gli uomini musulmani immigrati in Svezia, hanno portato con sè la loro cultura islamica che autorizza lo stupro. È una cultura intrinsecamente sfavorevole nel trattamento riservato alle proprie donne. Sotto la sharia, le donne musulmane servono a poco più che soddisfare i bisogni sessuali dei loro mariti. Una moglie non sottomessa corre il rischio di essere violentata dal marito.

Tuttavia, la cultura dello stupro secondo la sharia, ha un impatto anche sulle donne svedesi che, secondo gli insegnamenti di Allah, sono “infedeli”, e come tali, obiettivi per lo stupro da parte di uomini musulmani. Questo sistema di credenze islamiche è testimoniato dall’aumento degli stupri da quando sono state aperte le porte all’immigrazione musulmana.

Lo conferma un rapporto del Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità. Questo rapporto ha rilevato che gli immigrati musulmani provenienti dal Nord Africa avevano il 23 per cento in più di probabilità di commettere stupri rispetto agli uomini svedesi. Non c’è da meravigliarsi che oggi la Svezia sia considerata la capitale dello stupro del mondo occidentale.

Ancora più sconvolgente, però, è la correttezza politica usata per far passare in secondo piano la segnalazione di questi crimini. Sensibile alle accuse di islamofobia, la stampa svedese si rifiuta di avvertire le donne native su chi siano questi predatori sessuali. Così, quando un musulmano commette uno stupro, i media si riferiscono a lui come a un maschio svedese.

Ma questa mancanza di voler far luce sugli stupratori musulmani, consente loro di nascondersi in modo da commettere crimini sessuali sempre più eclatanti. Senza paura di essere accusati, questi predatori hanno adottato un sistema di gruppo. Aver banalizzato questi crimini, ha fatto della Svezia terreno fertile per gli stupri di gruppo.

È interessante notare che, tra il 1995-2006, il governo svedese ha monitorato gli stupri di gruppo, identificando un trend drasticamente in aumento. Incredibilmente, dopo aver scoperto il problema, ha adottato il sistema di nascondere la testa sotto la sabbia, chiudendo la possibilità di ulteriori indagini su di essi. A quanto pare la paura del governo di essere etichettato islamofobo, è stata maggiore della preoccupazione di avvertire le donne svedesi della minaccia nei loro confronti. Anche se non esistono studi su stupri di gruppo condotti dal 2006, si può supporre che questi numeri siano continuati ad aumentare.

E interessante il confronto con l’approccio della Svezia al problema dei migranti musulmani con quello del Giappone e la sua inesistenza di problemi di questo genere lì.

La ragione della differenza è semplice. Il Giappone è stato molto più cauto circa l’immigrazione, nel tentativo di preservare la propria cultura.
Come il dottor Mordechai Kedar – un ufficiale militare israeliano di intelligence – ha osservato nel suo articolo del 20 maggio 2013: “il Giappone – la terra senza i musulmani”, anche se il paese ha una popolazione di 127 milioni, ci sono solo diecimila musulmani residenti.

Così, mentre in Giappone sono registrati meno dell’uno per cento di musulmani nella popolazione, nei paesi europei sono in crescita in minoranze consistenti.
Sebbene l’immigrazione musulmana non sia tra le maggiori preoccupazioni del Giappone, Kedar ha spiegato che, comunque il Giappone rimane interessato al problema dell’influenza islamica. Per tre ragioni:

“In primo luogo, i giapponesi tendono a raggruppare tutti i musulmani insieme, come fondamentalisti che non sono disposti a rinunciare al loro punto di vista tradizionale e ad adottare modi di pensare e agire moderni. In Giappone, l’Islam è percepito come una strana religione, che qualsiasi persona intelligente dovrebbe evitare.

“In secondo luogo, la maggior parte dei giapponesi non ha religione, ma i comportamenti legati alla religione scintoista insieme a elementi del Buddismo sono integrati con i costumi nazionali. In Giappone, la religione è connessa al concetto di nazionalismo, ed esistono pregiudizi nei confronti degli stranieri se sono cinesi, coreani, malesi o indonesiani, neanche gli occidentali sfuggono a questo fenomeno. C’è chi chiama questo, ‘uno sviluppato senso del nazionalismo’ e chi ‘razzismo’. Sembra che nessuno dei due sia scorretto.

“E in terzo luogo, i giapponesi respingono il concetto del monoteismo e la fede in un Dio astratto, perchè il loro concetto di mondo è a quanto pare, collegato all’essenziale, non alla fede e alle emozioni. Sembra che raggruppino insieme il Giudaismo con l’Islam. Il cristianesimo esiste in Giappone e non è considerata negativamente, apparentemente perché l’immagine di Gesù in Giappone, è percepita come l’ immagine di Buddha e Shinto “.
Sara Muller
Sara
Kedar ha così messo in risalto l’aspetto più importante che manca al Giappone nell’approccio con l’immigrazione musulmana che invece è stato adottato dalle democrazie occidentali.
“La cosa più interessante dell’approccio del Giappone con l’Islam è che i giapponesi non sentono il bisogno di chiedere scusa ai musulmani per il modo negativo in cui loro si rapportano con l’Islam.”

Così, per i giapponesi non esiste il problema perchè si tratta di un atteggiamento giustificato dalla stessa ideologia islamica che rivendica il diritto ai non musulmani di sottomettersi o morire. I giapponesi sono determinati a non andare incontro al suicidio culturale, consentendo ad una cultura totalmente detestabile di prosperare, costituendo una sfida a livello nazionale.
Sara Muller
Sara
Di conseguenza, quando la comunità internazionale ha chiesto aiuto per il reinsediamento della recente ondata di immigrati musulmani nei paesi non musulmani, il Giappone ha offerto assistenza finanziaria, ma ha rifiutato di aprire le sue porte al reinsediamento.

Possiamo dire qualcosa sul fatto che il Giappone preservi la propria cultura tanto tenacemente. Abbiamo assistito dopo il terremoto con conseguente tsunami che ha devastato il paese nel 2011, ad un periodo di grande crisi umana, affrontata con grande dignità e rispetto reciproco. Non abbiamo udito notizie di saccheggi. Questo ci aiuta a capire pienamente la riluttanza dei giapponesi a cedere alla cultura islamica.

Quello che sta accadendo in Svezia e, paradossalmente non succede in Giappone, dovrebbe preoccupare il resto d’Europa e gli Stati Uniti.
Sia la Svezia che il Giappone sono esempi del ‘canarino nella miniera di carbone’, in quanto all’approccio con l’immigrazione musulmana e il successivo impatto sulla cultura della nazione ospitante.

Nell’affrontare il problema dell’immigrazione musulmana, le democrazie occidentali devono comprendere pienamente il motivo per cui il canarino in Svezia sta morendo mentre in Giappone no.