La Jihad, questa sconosciuta
Una gigantesca operazione di rimozione storica, che ha censurato dai testi di storia gli avvenimenti connessi a secoli di jihad (la guerra santa islamica) e di dhimmitudine (l’umiliante e insostenibile condizione dei non musulmani nelle terre governate dall’islam), spiega in buona misura l’attuale ignavia degli europei. Negli ultimi venti anni è molto cresciuta la letteratura sul mondo islamico, ma non è cresciuta altrettanto la percezione della minaccia che il fondamentalismo islamico costituisce per la civiltà in cui viviamo poiché numerosi sono stati gli studiosi che, dominati dalla preoccupazione di non essere accusati di coltivare pregiudizi eurocentrici, si sono prodigati per fornire una immagine rassicurante della religione fondata da Maometto. Nelle opere sull’islam di Franco Cardini, Alfonso Di Nola, Paolo Branca, Massimo Campanini, o di autori anglosassoni come John Esposito, Stephen Schwartz e Karen Armstrong, non si trovano che fugaci cenni alla guerra santa. Anche gli studi specialistici di Bernard Lewis, per tanti versi pregevoli, sono piuttosto carenti sui temi della jihad e della dhimmitudine.
In genere i manuali scolastici e le monografie sull’islam passano sotto silenzio le modalità con cui si svilupparono le conquiste islamiche, limitandosi a riportare frasi asettiche di questo tenore: “L’islam si espanse nell’ottavo e nel nono secolo…”, oppure questo o quel paese “passò sotto il dominio musulmano”. Gli autori usano ogni cautela per evitare di dire come l’islam si espanse, e come quei paesi passarono sotto il dominio islamico. Sembrerebbe che questi avvenimenti siano capitati da soli, quasi miracolosamente, o in maniera pacifica. La realtà è ben diversa.
Bill Warner, direttore Center for the Study of Political Islam, ha calcolato che la conquista e l’assoggettamento delle popolazioni cristiane in Medio Oriente, Anatolia e Nord Africa, che un tempo componevano circa la metà della Cristianità, ha comportato il massacro di almeno 60 milioni di persone; la conquista islamica della Persia ha portato alla cancellazione quasi totale dello zoroastrismo; nella sua avanzata verso est la jihad islamica ha provocato la morte di circa 10 milioni di buddisti, distruggendo ogni traccia di buddismo lungo la via della seta e in Afghanistan; l’invasione dell’India ha determinato l’annichilimento di metà della civiltà indù, e l’uccisione di 80 milioni di persone; le vittime della jihad nell’Africa subsahariana ammontano invece a più di 120 milioni tra cristiani e animisti.
Sommando tutte queste cifre si giunge alla conclusione che dal settimo secolo a oggi approssimativamente 270 milioni di “infedeli” sono morti per la gloria politica dell’islam: un numero di vittime che probabilmente supera quelle del comunismo, e che fa dell’islam la più grande macchina di oppressione e di sterminio della storia.
La jihad rappresenta quindi, per durata e per conseguenze, una delle istituzioni più rilevanti della storia umana, che ha sconvolto la vita di centinaia di milioni di persone per quasi 1400 anni. Eppure, a livello storico, è quasi completamente ignorata. Esistono migliaia di libri sulle crociate, ma almeno fino a qualche tempo fa non esisteva praticamente nessuno studio storico approfondito sulla jihad. Nell’Enciclopedia Britannica, ad esempio, viene dato alle crociate uno spazio ottanta volte superiore a quello della jihad: eppure le crociate furono solo una tardiva e limitata reazione a quattro secoli di ininterrotta guerra santa dei musulmani contro gli europei. Le crociate durarono meno di 200 anni (dal 1096 al 1270), sono cessate da 700 anni e geograficamente si limitarono alla Terra Santa, mentre la jihad islamica ha avuto un carattere universale e permanente.
Gli unici due testi che di recente hanno tentato di colmare questa lacuna sono “jihad in the West” di Paul Fregosi, uscito nel 1998, e “The Legacy of jihad” curato da Andrew G. Bostom, una ricchissima raccolta commentata di documenti storici pubblicata nel 2005. Uno dei pochi libri pubblicati in Italia che racconta questa storia cruenta è il libro di Camille Eid, “A morte in nome di Allah. I martiri cristiani dalle origini dell’islam a oggi” (Piemme, 2004). Per quanto riguarda lo status delle minoranze religiose nei paesi islamici, i ‘dhimmi’, quasi tutto quello che sappiamo si deve ai fondamentali studi pionieristici di Bat Ye’or.