La comoda scappatoia dell’”islam politico”
di Niram Ferretti
Tutte le volte che un musulmano agisce in modo violento, sia che pratichi il jihad, sia che pratichi il taharrush, subito, in modo particolare relativamente al jihad, sentiamo dire da altri musulmani o da chi musulmano non è, ma conosce “a fondo” l’Islam, che si tratterebbe di una “distorsione”, che l’Islam che uccide in nome di Allah, sarebbe, “Islam politico”.
Il problema di questa affermazione, ormai gettonatissima non solo in ambito accademico ma anche nel parlare comune, consiste nell’istituire una divaricazione tra religione e politica, che nell’Islam non si è mai avuta.
Parlare di “Islam politico” è fare uso di una superfetazione. l’Islam nasce a Medina, e non alla Mecca, quando Maometto, da semplice predicatore, divenne a tutti gli effetti un capo politico, un signore della guerra. L’Islam si dà, dunque, all’origine, come realtà teopolitica e non come religione che solo in seguito, per una serie di fattori estrinseci si sarebbe “contaminata” con la politica. Va inoltre detto che è l’Islam stesso, non “l’Islam politico” ad affermare di essere l’unico e orignario messaggio di salvezza per l’umanità e che ebraismo e cristianesimo, per restarare alle religioni abramitiche, a cui l’Islam afferma di appartenere, sono religioni superate, decadute.
Volere fare credere, in buona o cattiva fede, che i gruppi jihadisti contemporanei, il cui proliferare ha la sua matrice principale nella Fratellanza Musulmana di Hassan al Banna, fondata al Cairo nel 1929, siano una realtà priva di qualsiasi rapporto con l’Islam nella sua specificità, è del tutto furviante, perchè se è vero, come è vero, che il jihad nella accezione offensiva e aggressiva contemporanea venne sostanzialmente rinvigorito dagli anni ’30 in poi del Novecento, e se è vero come è vero, che esso ha mututato prestiti e instaurato simpatie con estremismi ideologici occidentali, come il fascismo, e il nazismo, senza disdegnare innesti trozkisti e persino cheguevaristi come nel caso di Alì Shariati, il jihad è nell’origine stessa dell’Islam, nella creta di cui è impastato.
Il radicalismo islamico non è dunque un fenomeno recente, o meglio è recente solo ed esclusivamente in merito al suo riproporsi con persistenza, fatto che ha, indubbiamente, delle concause: l’affermarsi sempre più perentorio dell’Occidente, dei suoi valori, della sua forza, e, come reazione, lo straniamento, la paura e l’avversione nei suoi riguardi da parte del mondo musulmano, quello maggiormente legato all’ortodossia religiosa, che ha vissuto l’affermarsi occidentale come una vera e propria aggressione a ciò che esso rappresentava e rappresenta, come un tentativo di umiliarlo, di snaturarlo, e infine di soppiantarlo.
Uno dei maggiori teorici della rinascita islamica del jihad, Sayyid Qutb, reputava la modernità, con la sua prorompente carica espansionista e intrinsecamente secolare, una minaccia enorme alla natura stessa dell’Islam, al suo ubi consistam, minaccia che andava contrastata senza mezzi termini, combattendola con tutti i mezzi a disposizione. Le armi maggiori, il combattente musulmano le avrebbe trovate nel Corano e nelle gesta di Maometto, esempio perfetto per tutti i musulmani pii. Ed è ancora lì che i jihadisti, e i rigoristi, a cui i talebani appartengono, le trovano oggi.
Non bisogna quindi mai dimenticare che nell’Islam in quanto apparato teopolitico è consustanziale la lotta nei confronti degli infedeli, e, insieme ad essa, la loro soggiogazione, come è reso esemplarmente chiaro dalla sura 9, quella che secondo il Sahih di al Bukhari, hadith n. 4329, fu l’ultima a essere rivelata al Profeta, la quale inizia con l’abrogazione unilaterale di tutti gli accordi di pace stipulati precedentemente con i miscredenti. A chi non era attivamente coinvolto nella lotta contro Maometto e i suoi seguaci veniva e viene (per chi desidera applicarla alla lettera ancora oggi) concesso solo un breve periodo di grazia. Al termine dei mesi sacri, Maometto e i suoi avrebbero dovuto uccidere tutti gli infedeli.
Questo, naturalmente non significa che tutti i musulmani siano potenziali assassini, ma che la violenza praticata dai jihadisti è perfettamente legittimata ab origine, non è un incidente di percorso successivo, una sua aggiunta estrinseca deformante.
E’ l’Islam a fare problema, non “l’Islam politico” il comodo avversario che si vorrebbe declassare a corpo estraneo, a degenerazione. Affermarlo significa semplicemente e con rigore, riconoscere la realtà, offrendo una diagnosi, non una condanna o una demonizzazione.
Una diagnosi che l’Islam stesso necessiterebbe di prendersi in carico con la franchezza necessaria, proponendo, se riuscirà a farlo, una eventuale cura, se no continueremo sempre a sviare e a sviarci dalla realtà dei fatti.