Islam e Cristianesimo: il diverso approccio di interpretazione del Corano e della Bibbia
L’esegesi è la scienza dell’interpretazione critica di un testo scritto. Essa si applica soprattutto a testi antichi e tiene conto del periodo storico del testo, il contesto culturale, a chi è rivolto, il messaggio contenuto e le circostanze che hanno portato alla sua produzione. Inoltre si avvale della comparazione con altri testi prodotti in quella stessa epoca, di riscontri storici di vario genere, e anche di riscontri archeologici.
Solo in questo modo si può avere una retta interpretazione di un testo antico, il quale è oramai troppo distante da noi e usa un linguaggio che potrebbe essere fortemente fuorviante se non interpretato correttamente tenendo conto delle cose che abbiamo menzionato, soprattutto il contesto vitale in cui è stato prodotto (stiz in leben).
Ogni testo antico è sempre sottoposto a tale interpretazione critica. Il Corano e la Bibbia non devono essere esenti da tale critica scientifica. Anzi, proprio a ragione del fatto che sono ritenuti libri sacri, e quindi avendo un forte peso per i rispettivi credenti e non solo, possono generare delle vere e proprie mostruosità.
Differenze sostanziali tra Corano e Bibbia
- Il Corano viene considerato dettato da Dio, ossia ogni singola frase e parola ivi riportate sono state rivelate esattamente come sono disposte nel libro. La Bibbia viene considerata ispirata da Dio, ossia non si cerca la precisione testuale, ma il senso delle frasi e la sostanza della rivelazione. Essendo Allah inconcepibile per la ragione umana, è del tutto inutile scervellarsi nell’interpretare il senso della Sua Legge, il cui testo va considerato nella sua letteralità; tutto quel che c’è da sapere sta nel Corano, e lo sforzo interpretativo (ijtihâd) che deve applicarsi al testo, è di natura semplicemente deduttiva.
Nell’Islam l’ispirazione è paragonabile a un dettato verbale da parte di un angelo che ha trasmesso al profeta il contenuto integrale di un libro preesistente (umm al-kitâb, Corano 85:21), nel Cristianesimo (e nel Giudaismo) invece, l’attività umana del profeta e degli altri autori sacri si incontra con il divino ed è parte attiva nel processo della rivelazione. La conseguenza pratica è che, nel caso del messaggio “dettato”, non possono essere ammessi cambiamenti rilevanti e appigli storici: ciò che vi è scritto è la parola esatta di Allah che deve solo essere seguita alla lettera, mentre invece nel caso della Bibbia la raccolta dei libri in essa contenuti hanno una funzione normativa nella loro tradizione, che continua dopo la chiusura del loro canone; ma a sua volta, questa ha una funzione interpretativa per enunciare correttamente il messaggio che i libri contengono.
La Bibbia non è un libro dettato da Dio, ma un dialogo tra Dio e l’umanità; in primis questo dialogo era limitato al popolo di Israele, dal quale doveva nascere un Messia che avrebbe esteso l’alleanza divina a tutto il mondo. Trattandosi quindi di un dialogo, è necessario che l’interpellato – l’uomo – comprenda ciò che viene rivelato da Dio. Ma per fare ciò, l’uomo non può che ricorrere ai suoi mezzi di precomprensione culturale. Ciò implica che per farsi capire dall’uomo, Dio ricorre a degli schemi comprensibili ad un popolo e ad una cultura, facendo così una rivelazione graduale, la quale porta il popolo eletto ad una evoluzione di schemi culturali (i quali mutano col tempo) e ad un linguaggio espressivo che si diversifica col tempo: mentre nei libri più antichi della Bibbia si ricorre massicciamente al mito, nei libri più recenti tale apporto del mito diminuisce. Ciò vale anche per gli schemi culturali utilizzati, i quali sono necessariamente quelli del popolo ebraico del I millennio avanti Cristo (con differenze tra i vari secoli).
Mentre la rivelazione coranica non ammette che ci siano degli schemi culturali che hanno influenzato la stesura del Corano e la dottrina Islamica (cosa in sé stessa impossibile, poiché OGNI essere umano ha una sua cultura), gli esegeti biblici sanno che tali schemi di precomprensione culturali esistono nella rivelazione biblica, e quindi certe espressioni, certi divieti, certi precetti e certi comandi sono relativi ad un frangente storico ben preciso e delimitato. L’esempio classico è quello della violenza presente nell’Antico Testamento, la quale è perfettamente comprensibile negli schemi culturali del periodo e dei popoli orientali. In tal modo, è necessario per comprendere la Rivelazione biblica conoscere e capire gli schemi culturali delle persone alle quali è rivolta. Ciò in accordo con il suo essere ispirata, poiché l’ispirazione implica sempre una persona (e una cultura) che media il messaggio.
La progressività della rivelazione ha quindi portato ad una evoluzione culturale e ad una consapevolezza religiosa differente nel corso dei secoli riguardo certi aspetti della vita umana. Tale progressività della rivelazione ha avuto termine con la rivelazione evangelica, la quale ha portato a compimento ciò che Dio ha rivelato nei secoli ad Israele e l’ha al contempo esteso al resto del mondo – in quanto Dio è tale per ogni essere umano, non solo per un popolo o per una cultura – tramite la vita e le opere di Gesù, Messia d’Israele e seconda persona della Trinità incarnata.
- Il cristiano ha delle fonti che dicono cosa è bene, ma non ha, come il musulmano, un codice legale definito e stabilito da Dio. Nel Vangelo non ci sono leggi, ma direttive su cosa è bene e cosa è male. Nel Corano ci sono codici definiti di leggi e pene corrispondenti invarianti nel tempo. Infatti nel Cristianesimo c’è spazio per la legge positiva, mentre invece nell’Islam tale spazio è molto ridotto proprio a causa del fatto che ci sono leggi molto specifiche prescritte direttamente da Allah che non possono essere messe in discussione.
- Il Corano (secondo la vulgata) è stato dettato in un periodo breve e ad una persona sola. La redazione della Bibbia abbraccia invece un periodo molto più lungo: 1000 anni circa l’Antico Testamento e qualche decennio il Nuovo Testamento. Mentre il Corano ha quindi un riferimento culturale fisso (l’Arabia del VI-VII secolo) la Bibbia abbraccia modi espressivi e riferimenti culturali molto diversi, poiché nel periodo di redazione molte cose – politiche, economiche, culturali, religiose – mutarono in Israele e nei popoli con i quali entrava in contatto.
- Mentre l’Islam può essere definita “religione del libro” perché l’essenza della sua rivelazione è contenuta materialmente nel Corano, il Cristianesimo non può entrare in tale schema, perché la sua rivelazione consiste nell’Incarnazione e nella persona di Gesù di Nazareth.
Considerazione:
Resta sconcertante, da parte dei musulmani il rifiuto dell’applicazione del metodo critico-esegetico, il quale rifiuto desta non pochi sospetti e fa nascere forti dubbi sulle rette intenzioni, sembra quasi un rifiuto a non voler aprire il “Vaso di Pandora”.
La Bibbia invece richiede essa stessa la necessità di una interpretazione non solo critico esegetica, ma anche di carattere collettivo, in modo che ogni cosa sia ben chiara e correttamente intesa.
Mi sto interessando al rapporto fra Islam e Occidente, con fine riflessivo e non giudicante. Ma il confronto fra Gesù (anche qualora la sua fosse soltanto una bella favola) e Maometto (capo guerriero con varie mogli, per non dire dei successivi dissidi fra suocero e genero (sunniti e sciiti). Rispetto a Facebook e Wikipedia, rimpiango il metodo classico, scolatisco