Il famigerato contributo islamico al progresso
Parlare di contributo dell’Islam al progresso è politicamente corretto ma certamente incorretto dal punto di vista storico. Corretto è invece parlare di contributo degli arabi, per due semplici motivi: il primo è che l’Islam, come ci ha dimostrato il declino dei teologi aristotelici, è incompatibile con quell’utilizzo della ragione tipico della Scolastica medievale; il secondo è che l’universo arabo non può essere ridotto ad una sola fede, oggi come nel medioevo. A questo proposito i dati demografici sono importanti: gli arabi cristiani e i cristiani arabizzati in seguito alla conquista musulmana, intorno all’anno mille, costituivano ancora circa la metà della popolazione dei paesi islamici. Dunque quando si parla di arabi è erroneo riferirci esclusivamente a quelli di fede musulmana. Certo, molti importanti studiosi arabi furono di fede musulmana, ma la maggior parte, pur essendo arabi, erano di altre fedi.
Non era insolito, anzi, era la norma, soprattutto nei primi secoli di espansione dell’Islam, che i governanti facessero affidamento per lo più su persone di fede differente da quella islamica, visto che quasi sempre le persone più colte erano o cristiani o ebrei che vivevano nei territori conquistati. I musulmani arabi facevano parte di tribù primitive, originarie della penisola araba, arretrata da molti punti di vista, mentre invece i territori conquistati erano abitati da popoli molto più avanzati e civili di loro (ad esempio Bisanzio). I califfi riempivano le loro corti dei personaggi più dotti di fede cristiana: Giovanni Damasceno, Costantino l’Africano, Hunayn ibn Ishaq (creatore della terminologia medica araba), Qusta ibn Luqa, Istifan ibn Basil (primo traduttore della Materia medica), Ibn Athal, Abu Hakam (un medico che curò il primo califfo umayyade), Teodoco (altro medico che curò il governatore dell’Iraq e insegnò la sua arte all’ebreo Furat ibn Shahnata). Questi elencati sono appena una manciata di nomi…
Nikolaj Gogol, in uno dei suoi scritti riportati su di una antica raccolta presente nella mia libreria, riferendosi al califfo Al-Mamùn (un riformatore appartenente alla dinastia abasside) dice:
[…]Era naturale. Era naturale che più degli altri fossero spinti a portare a Bagdad le loro cognizioni quelli che avevano ancora conservato nell’animo l’immagine del politeismo rivestito di forme cristiane, i quali erano pronti a difendere Ammonio, Sakkas, Plotino ed altri seguaci del neoplatonismo[…]. […]L’arabo coronato ascoltava attentamente la musica soporifera dei commenti eruditi e delle sottigliezze.
(La parte sottolineata è molto importante perché si riferisce alle radici greche dei cristiani).
[…]I visir e gli emiri cercavano di empire le loro corti di dotti nuovi arrivati.
Il nobile Al-Mamùn desiderava sinceramente di far felici i suoi sudditi. […] Ma l’istruzione introdotta da Al-Mamùn rispondeva meno di tutto agli elementi naturali e alla inesauribile immaginazione degli arabi. I principi del politeismo privi di energia, trasformarti in giuochi di parole, le idee cristiane che rischiaravano la scienza di allora, facevano un assoluto contrasto con l’ardente natura dell’arabo di cui l’immaginazione sommergeva le deduzioni del freddo ragionamento.
Al-Mamùn, che aveva aperto le porte agli scienziati di tutte le fedi e di tutte le confessioni era andato già troppo lontano. I vantaggi concessi ai cristiani non potevano suscitare nei suoi sudditi l’odio e insieme il disprezzo per le loro istituzioni […].
Al-Mamùn viveva nella sua Bagdad viveva nella sua Bagdad come nel regno delle muse da lui stesso creato, completamente fuori dal mondo politico.
Dotato di una intelligenza teorica, superiore ai pregiudizi, e alle superstizioni, dopo aver studiato più da vicino dei suoi predecessori alcuni dogmi cristiani, egli non poté non vedere tutte le insulsaggini, le innumerevoli contraddizioni che s’incontravano ad ogni passo negli insegnamenti del fanatico creatore del Corano.
Lo stesso cosmopolitismo di Al-Mamùn, che aveva aperto le porte agli scienziati di tutte le fedi e di tutte le confessioni era andato già troppo lontano. I vantaggi concessi ai cristiani non potevano non suscitare nei suoi sudditi l’odio e e insieme il disprezzo per le istituzioni[…]