Il "clero" islamico
Non esiste alcuna forma di chiesa musulmana (tranne che nell’Islam sciita). Ogni musulmano ha un rapporto diretto con Allah, per il quale non esiste nessun sacramento e quindi nessuna figura che lo conferisca, e per il quale non esiste nessun’altra cerimonia liturgica se non la preghiera, che è comunque individuale.
Esiste però una “casta sacerdotale”, i cui membri sono in realtà giuristi.
Gli imām da un punto di vista strettamente religioso sono “Guida spirituale”, ed è per questo che nell’islam è lecito usare questo termine per i capi di movimenti politico-religiosi. Da un punto di vista istituzionale, l’imām è storicamente il capo della Comunità islamica (Umma) ed è per questo, nel Sunnismo, sinonimo di califfo.
Gli ulema, le personalità musulmane che parlano a nome dell’Islam sunnita, sono i titolari indiscussi dell’applicazione del diritto musulmano.
Ogni alim (singolare di ulema), ogni sheikh che calca con autorevolezza la scena dell’Islam mondiale e nazionale, ha un preciso posto in una rigida gerarchia riconosciuta nella sua comunità di riferimento e fa parte di una “casta”, di un vero e proprio ceto sociale dirigente. Questa gerarchia non è prevista dalla fede, ma è fondata sull’esercizio del Diritto e della pratica giudiziaria basata sulla sharia.
Per fare un esempio chiarificatore: lo sheikh Yusuf al Qaradawi è un insigne giurista, non un teologo come viene ritenuto in occidente dai suoi estimatori cristiani, tanto che presiede il “consiglio per la fatwa in Europa”, i cui pareri giuridici sono vincolanti per i musulmani europei che si riconoscono nell’area dei fratelli musulmani.
Questa sorta di “chiesa giuridica” è strutturata al suo interno da un cursus honorum: gli ulema acquisiscono esperienza e sapeienza facendo i magistrati nei tribunali islamici, a cui gli stati musulmani delegano l’esercizio della giustizia penale, civile e amministrativa. L’autorità religiosa degli ulema e il rispetto sociale di cui godono sono dunque derivati dalla loro scienza giuridica, ben più di quella teologica.
Nel mondo sunnita, al centro di questo rigido universo autoritario e autoreferenziale, campeggia l’autorevolezza dell’Università coranica di , la più antica del mondo, oggi presieduta dallo sheikh al Tantavi, che è appunto un centro di studi giuridici, con una scarsissima produzione teologica.
L’apparato giudiziario dell’Egitto si fonda sull’intreccio tra legislazione moderna e sharia, tanto che nel 1980 venne modificata la costituzione e il fiqh, il diritto islamico, cessò di essere “una” delle fonti di ispirazione della legislazione, per diventare “la” fonte di ispirazione della legislazione. Senza al Azhar, l’apparato giudiziario e legislativo egiziano cesserebbero di funzionare.
La situazione è pressoché simile in tutti gli altri Paesi arabi, anche in quelli laici come l’Algeria, con l’eccezione dell’Arabia Saudita, che riconosce solo parzialmente l’autorevolezza di al Azhar. In Arabia la struttura giudiziaria è capeggiata dai discendenti diretti Abd al Wahhab (il formatore fondamentalista del Settecento, seguace di Ibn Taymiyya), che prendono il nome di Al al Shaikh “membri della famiglia del maestro” e occupano le cariche di gran Muftì, di ministro del Culto e di ministro della Giustizia, incaricato di gestire l’applicazione della sharia, controllando direttamente senza mediazione tutti i tribunali.
Tuttavia il potere della “chiesa islamica” dentro le società musulmane non si costituisce come monopolio dell’esercizio del Diritto e della Giurisprudenza, ma anche come gestione di parte del gettito fiscale e controllo del welfare.
L’Islam, infatti, è l’unica religione rivelate che inserisce l’elemento fiscale nelle sue prescrizioni fondamentali. Com’è noto, sono cinque i pilastri della saggezza: la proclamazione della fede in Allah, il pellegrinaggio alla Mecca, il rispetto del digiuno durante il Ramadan, le cinque preghiere quotidiane e infine l’autotassazione, la zakat, l’obbligo per il fedele di versare una parte del proprio reddito alla comunità. In genere, i proventi di questa autotassazione vengono canalizzati dalle singole moschee verso le potenti, ricchissime fondazioni (waqf), che non solo drenano il denaro e le proprietà, ma si incaricano anche di distribuirli sotto forma di welfare, tanto che lo moschee sono ovunque (anche in Italia) centri di distribuzione di reddito, di assistenza, di consulenza sociale, di ricerca del lavoro.
Tutti i grandi ulema e sheikh, dunqnue, controllano direttamente o indirettamente anche le grandi fondazioni (waqf) locali assommando al ruolo di giuristi quello di finanzieri.