Guai a sfiorare il bottino di guerra di Maometto
Il codice etico-morale distorto del profeta razzista di “pace” che manda all’inferno i “taccheggiatori” del proprio bottino di GUERRA.
Un giorno uno schiavo nero chiamato Midam era intento a scaricare i bagagli di Maometto mentre si trovavano a Wadi Al Qura.
All’improvviso una freccia (partita da non si sa chi) lo colpì uccidendolo.
Gli uomini intorno a lui celebrarono la cosa esclamando che Midam sarebbe andato in paradiso, tuttavia Maometto intervenne dicendo che Midam aveva la colpa di essersi impossessato di un mantello presente nel bottino di GUERRA prima che lo stesso venisse suddiviso, cosicché quel furto “orrendo” lo avrebbe condannato all’inferno.
Con tutta probabilità il povero Midam aveva preso il mantello per ripararsi dal vento e dalla sabbia durante gli spostamenti. Inoltre non era affatto fuggito con il “malloppo”, ma per il moralmente integerrimo profeta dell’Islam la cosa era comunque assolutamente sbagliata tanto da portare Midam dritto nelle fiamme dell’inferno.
L’episodio raccontato in questo Hadith risale ai giorni successivi al saccheggio di Khaybar. Siamo quindi nel 628 d.C. e da sei anni a quella parte il fondatore dell’islam aveva già:
– consumato il matrimonio con Aisha quando questa aveva nove anni
– combattuto le battaglie di Badr, Uhud e del fossato
– cacciato le tribù dei banu Nadir e banu Qaynuqa da Medina.
– fatto uccidere i suoi oppositori o semplici critici come Ibn Al Ashraf
– fatto decapitare almeno 600 tra ragazzi e uomini della tribù dei Banu Qurayza
– saccheggiato Khaybar e fatto torturare e uccidere uno dei leader di quell’insediamento per farsi dare l’ubicazione di un tesoro prendendo poi la vedova della vittima come “sposa”, Safiyya.
Sicuramente abbiamo tralasciato alcune tra le nefandezze compiute da Maometto.
L’importante è che si sappia che “dall’alto” del suo curriculum, il profeta dell’Islam giudicava meritevole dell’inferno uno schiavo nero “colpevole” di aver preso in prestito un mantello.
Resta da capire chi abbia scoccato la freccia e… in effetti tutti gli indizi portano ad un solo possibile colpevole.
Innanzitutto, la freccia colpisce mortalmente lo schiavo in un momento che non era quello di una battaglia, infatti stava scaricando i bagagli del suo padrone Maometto. Non si tratta nemmeno di un eventuale “attacco a sorpresa” da parte di qualche nemico, poiché non si vede nessuno che corra ai ripari o alle armi. Vediamo invece i musulmani presenti gioire come se l’uccisione fosse stata procurata da qualcuno molto “importante”, una sorta di “giudice supremo” capace di ”purificarlo” da eventuali peccati e potergli così garantire il paradiso. Un “giudice supremo” che si trovava proprio lì e che non era in pericolo anzi, coglie l’occasione per istruire i presenti sul destino dello sventurato Midam. Maometto infatti interviene senza mostrare il minimo dispiacere per il poveretto e con la sentenza pronta, fa presente a tutti che Midam aveva precedentemente preso per sè un mantello senza permesso e che per questo motivo sarebbe certamente finito all’inferno. Praticamente una sorta di atto dimostrativo riguardo ciò che è vietato fare prima che il bottino di guerra venga ufficialmente ripartito.
Secondo i suoi standard, Maometto effettivamente non avrebbe potuto trovare modo migliore per dare ai suoi scagnozzi un ammonimento preciso riguardo ciò che spetta a chi “ruba” dal suo bottino di guerra disponendo, secondo il suo modo di pensare, di “qualcosa” di poco valore di cui potersi sbarazzare senza rimetterci troppo ovvero, uno schiavo nero.
Tuttavia, va precisato che, a parità di “reato”, la stretta cerchia dei compagni di Maometto era esentata da qualsiasi tipo di punizione. Come nel caso del cugino (e genero) Alì in un episodio in cui quest’ultimo prelevò per i suoi “bisogni” una schiava (non un mantello) dal bottino di guerra del profeta, ottenendo da Maometto persino l’approvazione dopo che questi venne successivamente informato dell’accaduto.
Islam, “religione” di pace, giustizia e uguaglianza.