La fonte dell’etica islamica e il confronto con quella laica e cattolica
Ci è stata posta una domanda sulla differenza tra l’etica islamica e l’etica cattolica e/o laica.
Se nel Cattolicesimo e nella visione laica è data per oggettiva (nel caso del Cattolicesimo) o generalmente accettata (nel caso del mondo laico) l’esistenza di una Legge morale naturale insita nell’uomo che indica la strada giusta da seguire in campo etico, nell’Islam non esistono principi etici e morali universali insiti nella natura dell’uomo ma esiste il diritto giuridico (fiqh) ricavato dallo studio delle norme contenute nelle “fonti sacre”.
La riflessione sulla morale in occidente è nata come riflessione filosofica sull’uomo e sui suoi atti, visti questi in rapporto al bene/male che comportano, sia per quanto riguarda l’agente morale sia per chi ha intorno. In quest’ottica la morale è ciò che riflette il bene dell’uomo e lo aiuta a diventare buono, generandogli delle abitudini verso il bene. In tal modo il bene ricercato non è deciso in maniera arbitraria, ma è insito nella stessa costituzione dell’uomo e della realtà, per cui la morale non è una questione arbitraria o dipendente dalla volontà di chi “decide” cosa è bene e cosa no, poiché il bene e il male morale sono già presenti nella realtà, e la filosofia morale si limita a scoprirli e riconoscerli. Il vulnus di tale visione è dato dal fatto che un’azione che ha conseguenze malvagie può essere utilitaristicamente messa in atto per ottenere un vantaggio personale ritenuto “più importante” del male che viene compiuto.
L’etica cristiana pone tutti i risultati della speculazione filosofica morale in rapporto a Dio, per cui il bene da perseguire diventa anche un mezzo per la santificazione personale ed ha rilevanza agli occhi di Dio; Egli ed il rapporto della realtà con Lui sono il fondamento dell’agire etico cristiano, il quale esclude che si possa compiere un male per ricavarne un bene in maniera utilitaristica. Nella visione cristiana bene e male sono materialmente gli stessi dell’etica filosofica, poiché la realtà e l’ordine della natura umana sono la base su cui si innesta la riflessione cristiana, visti però dalla prospettiva santificazione/peccato. In tal modo l’etica viene fondata sul Bene increato (identificato con Dio) il quale ha posto in essere dei beni creati (la realtà e l’uomo).
Nell’Islam la fonte principale della morale è la rivelazione di Allah e la legge islamica, per cui una riflessione sulla morale è costretta a partire dalla fede, e non dalla riflessione filosofica sulla realtà.
Quali atti siano corretti (halal) e quali non siano corretti (haram) lo si può sapere e codificare solo ed esclusivamente in riferimento ai testi considerati emanati da Dio, in primo luogo il Corano, o riflettenti la prassi del profeta Maometto, codificata nelle raccolte di tradizioni.
Oltre a ciò la dottrina islamica pone un Dio estremamente volontaristico, il quale non è tenuto a dare nessuna spiegazione dei suoi ordini e del suo agire. In tal modo la natura e la ragione diventano mute a livello etico di fronte al decreto divino.
Per questa specificità dell’Islam, rispetto alle problematiche di etica affrontate in altri contesti, nei paesi islamici i risvolti creano tutt’oggi grandi problematiche. La visione islamica secondo la quale l’etica deriva dal diritto crea un processo completamente unidirezionale. Temi di dominio strettamente scientifico e di interesse etico, sono trattati alla stregua di qualsiasi altra questione giuridica, analizzati attraverso le parole di un uomo vissuto mille e quattrocento anni fa solo perché ritenuto profeta di Dio e miglior esempio da seguire. Come si può facilmente immaginare l’anacronismo insito nel quadro di riferimento del sistema del diritto islamico crea discussioni surreali.
La particolare ottica che il diritto islamico usa per affrontare le questioni etiche fa sì che il ragionamento, per quanto possa sembrare paradossale, non verte direttamente sul problema centrale ma si rifà a quei punti delle “fonti sacre” che in qualche modo si avvicinano all’argomento preso in esame e che costituiscono l’unico nesso possibile.
Le basi dell’etica islamica
La visione totalizzante dell’Islam mira a culturalizzare, iscrivendolo in un sistema di riferimento assoluto, ogni atto “esterno” dell’individuo che lo metta in relazione con la società oltre che, attraverso il culto, con Allah. L’Islam si definisce come religione di Legge: ogni aspetto dei rapporti sociali dell’individuo – matrimonio, divorzio, nascita, morte, eredità – trova una regolazione giuridica direttamente derivata esclusivamente dalla religione.
È quindi la matrice giuridico-religiosa a orientare in ogni scelta l’agire del musulmano di ogni tempo e luogo. Quindi, benché non vi siano istituzioni formali, dotate di un magistero permanente e di un’autorità religiosa suprema, come nel caso della Chiesa cattolica, nelle società islamiche alla base di qualsiasi atteggiamento vi è sempre un orierntamento giuridico-religioso: l’intero percorso della civiltà islamica è da leggersi sempre alla luce del diritto, punto di riferimento assoluto, le cui categorie plasmano ineluttabilmente il rapporto fra uomo, società e Dio. Dunque, l’etica islamica si ispira alla sharīa “dritta via”, Legge divina, sorta di formulazione di principi e regole di condotta stabiliti da Dio, cui la prassi del credente deve conformarsi: di qui l’insieme delle norme che disciplinano l’esistenza del musulmano e che governano il suo comportamento sociale, prescindendo dalla fede, che solo Dio ha facoltà di giudicare. La sharīa è personale volontà di Dio: non è legge sancita dal popolo o dai suoi rappresentanti, ma parola di Dio quindi sempre esistente, strutturata in un sistema normativo attraverso l’opera di elaborazione dei giuristi nel corso dei primi secoli dell’Islam. I sapienti (ulamā e fuqahā, esperti di ilm, sapere relativo alle scienze religiose e tradizionali, laddove hikma è il termine che indica più propriamente la sapienza, filosofica e scientifica) sono i suoi interpreti, custodi delle norme di comportamento, depositari del consenso della umma e arbitri della legittà del potere, sempre valutato sulla base della Legge. Le fonti del diritto (usūl al-fiqh, radici del diritto) che influenzano l’etica islamica sono quattro, di cui le prime tre sono considerate emanazione divina: il Corano, la Sunna, il consenso (ijmā) dei dotti, il ragionamento analogico (qiyās). Quando la Legge non è in grado di offrire una risposta a questioni ovviamente non contemplate ai tempi del Profeta Maometto (570/632), il fedele può rivolgersi a un dottore della Legge (muftī) che, basandosi sul ragionamento analogico, elabora un parere giuridico (fatwā).
Questo approccio giuridico-religioso rende impossibile un’armonizzazione completa dell’Islam con gli standard etici occidentali.