Bloggando il Corano: Sura 9, “Il Pentimento”, Versetti 81-129
Commento al Corano: Sura 9, Il Pentimento, Versetti 81-129
di ROBERT SPENCER (30, Dicembre, 2007)
I Versetti 81-89 della Sura 9, “Il Pentimento” criticano aspramente i Musulmani che si rifiutarono di accompagnare Maometto nella sua spedizione a Tabuk, dove aveva sperato di combattere i Bizantini nell’anno 631. Alcuni chiesero di essere esentati per il calore bruciante dell’Arabia, che rendeva la spedizione particolarmente faticosa – spingendo Allah a sgridarli ricordando loro il calore dell’inferno, perché “hanno disdegnato la lotta e il combattimento”, cioè, di impegnarsi nella jihad (yujahidw, يُجَاهِدُوا) “con le loro sostanze e le loro persone, per la causa di Allah” (v. 81). Ibn Kathir spiega:
se avessero avuto qualche comprensione o qualche cognizione, avrebbero marciato col Messaggero di Allah sotto la calura, così da salvarsi dal Fuoco della Jahannam [Inferno], che è molto superiore.
Anche se gl’Ipocriti volessero cambiare idea e accompagnare Maometto in future spedizioni, saranno sempre respinti e non lo potranno più fare (v. 83). Maometto e i Musulmani non dovranno neppure pregare per loro quando muoiono (v. 84). Saranno puniti pure in questa vita (v. 85 – ripetizione di v. 55). Ma Maometto e i Musulmani che “lottano e combattono [jahadw, جَاهَدُواْ] coi loro beni e le loro persone” entreranno nei giardini del Paradiso (vv. 88–89).
I Versetti 90-105 individuano i Beduini per un particolare rimprovero per non essere andati a Tabuk. Ibn Juzayy sostiene che, di per sé stesso, questo annulla la loro pretesa di essere Musulmani:
Era gente che non andava alla jihad né chiedeva scusa per essere rimasta indietro, così mentivano quando pretendevano di essere credenti.
Questo non significa che nessuno possa essere esentato dalla jihad: uno può restare indietro se è “invalido o malato” o non ha “risorse da spendere (per la causa)” (v. 91). Ibn Kathir spiega queste condizioni:
Allah elenca qui le scuse valide che consentono di non partecipare al combattimento. Per prima cosa menziona le scuse che dipendono dalla persona, la debolezza del corpo che non permette di partecipare alla jihad, come la cecità, la zoppia, e così via. Poi ricorda le scuse che non sono permanenti, come la malattia, che impedisce di combattere validamente per la causa di Allah, o la povertà, che impedisce una preparazione adeguata per la jihad. Non c’è peccato se rimangono indietro, a patto che, quando rimangono indietro, non spargano disfattismo e scoraggino i Musulmani dal combattere, ma osservino comunque un buon comportamento in questa occasione.
Ma i ricchi chiedono di essere dispensati (v. 93) e accampano scuse con Maometto, che non le deve accettare (v. 94), perché questa è gente immonda (v. 95). I peggiori miscredenti e Ipocriti sono i Beduini (v. 97). Allah accusò alcuni di loro di complottare contro Maometto, e avvisò che le loro trame si sarebbero rivolte contro di loro (v. 98). Tuttavia, alcuni sono veri credenti (v. 99). Allah potrebbe anche perdonare quelli che si pentono delle loro malefatte, che hanno “mescolato buone azioni con cattive azioni” (v. 102). Ibn Juzayy spiega che
questo Ayat fu rivelato a proposito di Abu Lubaba. La sua buona azione era stata la jihad, la sua cattiva azione quella di aver dato consigli ai Banu Qurayza
cioè, la tribù Ebrea che ruppe la sua alleanza coi Musulmani e che Maometto, successivamente, massacrò. Chi si pente può suggellare il suo pentimento mediante elemosine (vv. 103–104).
I Versetti 106-112 oppongono alle false credenze la fede vera. Al ritorno da Tabuk, Maometto fu informato di una moschea che un gruppo di Musulmani aveva costruito, in opposizione alla sua autorità. Allah gli concesse una rivelazione che chiariva il malevolo intento dei costruttori, a dispetto dei loro proclami di buona fede (v. 107). Maometto ordinò ai suoi seguaci di bruciare la moschea e raderla al suolo. Ibn Kathir commenta che i suoi costruttori “ne avevano fatto un avamposto per chi faceva la guerra ad Allah e al Suo Messaggero”.
Il Versetto 111, con la sua garanzia di Paradiso per coloro che “uccidono e sono uccisi” per Allah, in epoca moderna è diventato il movente razionale per gli attentati suicidi. Ibn Kathir spiega:
Allah afferma di aver compensato col Paradiso i Suoi seguaci credenti per la loro vita e la loro ricchezza – se rinunciano ad esse per causa Sua.
Ibn Juzayy aggiunge, in modo significativo:
Si dice che sia stato rivelato a proposito dell’Omaggio di Aqaba [un precedente patto a garanzia della volontà dei Musulmani di far guerra per l’Islam], ma il suo significato è generale per ogni credente che esegue la jihad sulla via di Allah fino al Giorno della Resurrezione.
Questo è il senso con cui è stato inteso.
Abu Abdel Aziz, un jihadista moderno, che ha combattuto in Afganistan e in Bosnia, disse, in una intervista del 1994:
Ho scoperto che il migliore sacrificio che possiamo offrire per amore di Allah, è la nostra anima, poi i nostri averi” e poi citò il Versetto 111.
Il Corano asserisce che questa promessa di Paradiso per coloro che uccidono e sono uccisi per Allah è contenuta anche nella Torah e nel Vangelo, ma non c’è – il che è una ulteriore prova per un Musulmano devoto che questi documenti sono stati manipolati.
I Versetti 113-129 sottolineano che la fedeltà ad Allah viene prima di ogni cosa e che Allah controlla tutto. Maometto e i Musulmani non devono pregare per i pagani, anche se sono parenti (v. 113, cf. v. 84). Abramo addirittura si separò da suo padre, quando capì che era un “nemico di Allah” (v. 114). Allah non ingannerà un popolo dopo averlo guidato alla verità (v. 115) – Ibn Juzayy spiega:
Questo Ayat fu rivelato a proposito di alcuni Musulmani che chiesero perdono per degli idolatri senza permesso e che poi, per questo fatto, temevano per sé stessi; questo Ayat fu allora rivelato per consolarli, cioè, Allah non ti avrebbe punito per qualcosa, prima che ti fosse ben chiaro che era proibito.
I “tre che furono lasciati indietro” che sono perdonati nel Versetto 118, erano tre Musulmani che, secondo Ibn Juzayy, “rimasero indietro nella spedizione a Tabuk senza permesso ma senza ipocrisia né intenzione di rimanere indietro”. I credenti devono “Temere Allah e stare con chi è vero”, che significa, secondo as-Suyuti, il musulmano deve “essere sincero in ogni cosa e in ogni situazione” con gli altri musulmani. Tuttavia, Maometto permise la menzogna
in battaglia, per portare la riconciliazione fra le persone e nel riportare le parole di un marito a proposito di sua moglie e le parole di una moglie a proposito di suo marito (in un modo contorto, al fine di riportare la concordia tra loro).
Il popolo di Medina e i Beduini non avrebbero dovuto esitare nel seguire Maometto, perché qualsiasi cosa avessero dovuto subire in quell’avventura, sarebbe stata a loro accreditata come un atto di virtù. Nulla che fa infuriare i miscredenti resterà senza ricompensa (v. 120). Tuttavia, non è necessario che tutti i Musulmani vadano a combattere per la jihad (v. 122). Ibn Abbas dice: “Non è necessario che tutti i Musulmani partecipino alle scorrerie”. Questo è il fondamento del principio legale Islamico che la jihad è fard kifaya – cioè, un obbligo della comunità, dal quale alcuni sono esentati, se altri lo eseguono. La jihad diventa fard ayn, cioè un obbligo per ogni credente, quando un territorio Islamico viene attaccato. In generale, i Musulmani devono combattere contro i miscredenti, ed essere duri con loro (v. 123).
Le Sure del Corano aumentano la fede dei Musulmani (v. 124), ma aumentano soltanto i dubbi dei miscredenti (vv. 125–127).