Bloggando il Corano: Sura 9, “Il Pentimento”, Versetti 1-28
Commento al Corano: Sura 9, Il Pentimento, Versetti 1-28
di ROBERT SPENCER (28, Ottobre, 2007 – 4, Novembre, 2007)
Perché alcuni musulmani considerano una loro responsabilità davanti ad Allah la guerra contro ebrei e cristiani? Ciò è a causa di questo capitolo del Corano.
La Sura 9, “Il Pentimento”, è l’unica delle 114 Sure del Corano che non inizia con Bismillah ar-Rahman ar-Rahim – “Nel nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso”. Ci sono varie spiegazioni. Il Califfo ‘Uthman (e altri, incluso Zamakhshari) dicono che il motivo dipende dal fatto che alcuni ritenevano che la Sura 8 e la Sura 9 fossero una Sura unica e che “il santo Profeta morì senza informarci se la Sura Bara’ah [Sura 9] faceva parte della Sura Anfal [Sura 8] o no”. Ibn Kathir dice che l’omissione si verificò semplicemente “perché i Compagni non lo scrissero nella copia completa del Corano (Mushaf) che raccolsero”. Maududi asserisce che la spiegazione corretta fu data da Imam Razi, che riferì che Bismillah fu tralasciato perché lo stesso Maometto non lo recitò all’inizio di questa Sura. Al-Hakim dice che non solo lo stesso Maometto non recitò il Bismillah, ma comandò che no fosse recitato all’inizio di questa Sura.
Perché no? Il Tafsir al-Jalalayn spiega l’ordine di Maometto dicendo che il Bismillah “è sicurezza, e [la Sura 9] fu rivelata quando la sicurezza era stata rimossa dalla spada”. ‘Ali ibn Abi Talib concorda, dicendo che il Bismillah “porta sicurezza, mentre questa Sura fu rivelata con la spada. Ecco perché non comincia con la sicurezza”. Il Tafsir al-Jalalayn aggiunge che “Hudhayfa racconta che loro la chiamavano la Sura del Pentimento, mentre, in realtà, è la Sura della Punizione”.
La proibizione, comunque, rimane. Studiosi come Jazari e Shatbi dicono che il Bismillah non deve essere recitato all’inizio di questa Sura, benché Bulandshahri sostenga che se qualcuno recita la Sura 9 cominciando da un punto diverso dall’inizio, può recitare il Bismillah, se lo ritiene opportuno.
Secondo un hadith registrato da Bukhari, la Sura 9 fu l’ultima Sura completa ad essere rivelata, anche se parti di un’altra Sura furono rivelate successivamente. Un altro hadith dice che la Sura 110 fu in effetti l’ultima, ma, ad ogni modo, la Sura 9 è molto tarda, e tra le ultime rivelazioni ricevute da Maometto. Giunse al tempo della inconcludente spedizione che Maometto intraprese contro una guarnigione Bizantina a Tabuk, nell’Arabia del Nord, nel 631, e gran parte del suo contenuto tratta degli eventi correlati a questo tentativo di affrontare in battaglia l’esercito del grande Impero Cristiano.
Tuttavia, inizia rivolgendosi ai pagani della Mecca. I Versetti 1-12 liberano gl’infedeli da ogni obbligo cui fossero legati da trattati stipulati con i Musulmani e tutti i trattati esistenti vengono ridotti a un periodo di quattro mesi (vv. 1-3).
Questa restrizione arriva con l’ammonimento che “Allah coprirà di vergogna coloro che Lo respingono” (v. 2), che il Tafsir al-Jalalayn spiega in questo modo:
umiliandoli in questo mondo, facendoli uccidere, e nell’altro, [mandandoli] nel Fuoco.
L’annuncio che “Allah e il Suo Messaggero dissolvono gli obblighi (dei trattati) coi pagani” e li chiamano al pentimento e all’accoglimento dell’Islam, è fatto durante il Pellegrinaggio [Hajj] (v. 3). Ciò si riferisce solo a quei pagani che hanno violato i termini dei loro trattati con i Musulmani; gli altri trattati saranno onorati fino alla loro scadenza (v. 4). As-Sawi dice che questa è un’eccezione al limite di quattro mesi, concessa alla tribù dei Damra, “a cui ancora rimanevano nove mesi del loro trattato”.
E poi arriva il famoso Versetto della Spada, che contiene l’ordine di
“ammazzare gl’infedeli ovunque li trovi” (v. 5).
E’ comprensibile che questo sia un Versetto molto amato dai jihadisti di oggi. In un sermone del 2003, Osama bin Laden si rallegrava per questo Versetto:
Lode ad Allah che rivelò il Versetto della Spada al suo servo e messaggero [il Profeta Maometto], per stabilire la verità e abolire la menzogna.
Ibn Juzayy nota che il Versetto 5 abroga “ogni trattato di pace nel Corano” e, in particolare, abroga le direttive di 47:4 di “liberare gratuitamente o dietro riscatto” gl’infedeli prigionieri. Secondo As-Suyuti,
Questo è un Ayat della Spada che abroga il perdono, la tregua e la noncuranza
cioè, forse, la noncuranza per le offese dei pagani. Il Tafsir al-Jalalayn dice che i Musulmani devono
ammazzare gli idolatri ovunque trovati, sia durante il [periodo] legittimo che durante il [periodo] sacro, farli prigionieri e confinarli in castelli o fortezze, finché non abbiano altra scelta che [essere messi a] morte o [accettare] l’Islam.
Ibn Kathir fa eco sostenendo che i Musulmani non devono
aspettare di incontrarli. Piuttosto, cercarli e assediarli nei loro territori e nelle loro fortezze, raccogliere informazioni su di loro mediante varie vie e vari canali, in modo che ciò che è fatto in grande sembri piccolo a loro. In tal modo, non avranno altra scelta se non morire o abbracciare l’Islam.
Inoltre, non pare proprio che concordi con l’opinione diffusamente sostenuta oggi dai commentatori filo-islamici in Occidente – che questo Versetto si applica esclusivamente solo ai pagani della penisola Arabica del tempo di Maometto, e che quindi non ha ulteriori applicazioni. Lui, al contrario, asserisce che “uccidete gl’infedeli ovunque li troviate” significa proprio quello: gl’infedeli devono essere uccisi “sulla terra in generale, eccetto che nell’Area Sacra” – cioè la moschea sacra alla Mecca, in accordo con 2:191.
Se i miscredenti si convertono all’Islam, i Musulmani devono smettere di ucciderli. Così il Tafsir al-Jalalayn:
Ma se si pentono, della loro miscredenza, se eseguono le preghiere, se pagano le decime, allora lasciate libere le loro vie, e non interferite con essi.
Questi Ayat [Versetti] consentono di combattere i popoli, fino a che non abbraccino l’Islam e osservino le sue regole e i suoi comandamenti.
Qutb dice che l’interruzione dei trattati, con un periodo di garanzia di quattro mesi, combinato con il richiamo ad uccidere gl’infedeli,
non era intesa come una campagna di vendetta o di sterminio, ma piuttosto come un monito che procurasse loro un buon motivo per accettare l’Islam.
Tuttavia, Asad dice che il Versetto 5 “certamente non implica una alternativa tra ‘conversione o morte’, come viene sostenuto da alcuni critici ostili all’Islam”. Dice infatti che “la guerra è permessa solo per autodifesa” in accordo con 2:190, e che “la conversione del nemico all’Islam… non è che uno, e assolutamente non l’unico, modo per cessare le ostilità”. Egli indica all’attenzione del lettore i Versetti 4 e 6 per ulteriore delucidazione.
Infine, è importante notare che, in accordo con As-Suyuti, il giurista As-Shafi’i prese questo Versetto come convalida per l’uccisione di chiunque abbandona la preghiera e per combattere chiunque rifiuta di pagare la zakat [elemosina]. “Alcuni lo usano come prova che essi sono kafirun [miscredenti]”. Allo stesso modo Ibn Kathir:
Abu Bakr As-Siddiq usò questo e altri onorevoli Ayat come approvazione per combattere coloro che si rifiutavano di pagare la Zakat.
Così, anche i Musulmani che non adempiono agli obblighi dell’Islam ricadono nella categoria di coloro che devono essere combattuti. Questo è un principio che i movimenti Salafiti di oggi applicano ampiamente e usano frequentemente per etichettare come miscredenti i governi che non governano secondo strette leggi Islamiche che quindi devono essere combattuti da chi si considera un vero Musulmano. Questo è quanto sta accadendo oggi con la rivolta Salafita contro il Pakistan di Musharraf e, in grado minore, in Egitto contro Mubarak e addirittura anche in Arabia Saudita contro la Casa di Saud.
Secondo lo studioso Islamico del ventesimo secolo Muhammad Asad, i Versetti 4 e 6 della Sura 9 contraddicono l’impressione che molti ricevono dal Versetto 5: che ai pagani deve essere offerta la scelta fra “conversione o morte”. Il Versetto 4, invece, specifica soltanto che se i non Musulmani onorano i termini dei loro esistenti trattati con Maometto e i Musulmani, anche i Musulmani onoreranno questi trattati fino alla loro scadenza. E il Versetto 6, secondo Ibn Kathir, concede ai pagani
un lasciapassare affinché possano imparare la religione di Allah, in modo che il richiamo di Allah si possa diffondere tra i Suoi servi … In sintesi, coloro che vengono da una terra in guerra con i Musulmani a un’area Islamica, per portare messaggi, per transazioni commerciali, per negoziare trattati di pace, per pagare la Jizya, per offrire una fine alle ostilità e così via, e quindi richiedono un salvacondotto ai capi Musulmani o ai loro incaricati, devono ottenere la garanzia di massima sicurezza per tutto il tempo in cui rimangono nelle aree Musulmane e finché non ritornano alla loro terra e al loro rifugio.
L’accenno qui al pagamento della jizya, si riferisce alla tassa stabilita per il Popolo del Libro sotto la sovranità Islamica dal Versetto 29; così la scelta, almeno per chi ha ricevuto una Scrittura Sacra (praticamente Ebrei, Cristiani e Zoroastriani), non è conversione o morte, ma conversione, sottomissione o morte.
Il Tafsir al-Jalalayn, As-Suyuti, e Ibn Juzayy concordano con questa interpretazione del Versetto 6. Ibn Juzayy dice che il Versetto significa che i Musulmani devono
garantire loro la sicurezza affinché possano ascoltare la recitazione del Corano e decidere se vogliono diventare Musulmani o no (e poi condurli in un posto in cui siano sicuri). Se invece non diventano Musulmani, bisogna ricondurli a casa loro.
Egli aggiunge, tuttavia, che questa non è una opinione unanime:
Questo è un giudizio corretto, nell’opinione di alcuni, mentre altri sostengono che sia stato abrogato dall’ordine di combattere.
Il trattato che i Musulmani conclusero con i Pagani “vicino alla moschea sacra” (v. 7) si riferisce al trattato di Hudaybiyya. Nel 628 Maometto ebbe una visione nella quale egli compiva il pellegrinaggio alla Mecca – una usanza pagana che lui fortemente voleva rendere parte dell’Islam, ma che era stata impedita fino ad allora dal controllo dei Quraysh sulla Mecca. Quindi ordinò ai Musulmani di prepararsi al pellegrinaggio alla Mecca, e avanzò verso la città con mille e cinquecento uomini. I Quraysh lo incontrarono fuori della città e le due parti conclusero una tregua di dieci anni (hudna), il trattato di Hudaybiyya.
Alcuni capi Musulmani erano molto scontenti all’idea di una tregua. Dopo tutto, avevano recentemente spezzato un assedio di Medina approntato dai Quraysh ed erano, in quel momento, più forti che mai. Avrebbero dovuto forse barattare la loro attuale potenza militare, solo per poter organizzare un pellegrinaggio? Secondo il primo biografo di Maometto, Ibn Ishaq, un Umar furibondo andò da Abu Bakr dicendo: “Ma non è forse lui l’apostolo di Dio, e non siamo forse noi i Musulmani, e non sono forse loro i politeisti? E allora, perché dobbiamo accordarci su ciò che danneggia la nostra religione?” Allora i due andarono da Maometto, che cercò di rassicurarli: “Io sono lo schiavo di Dio e il Suo apostolo. Io non andrò contro i suoi comandi e Lui non mi renderà perdente”. Ma certamente non sembrava che il trattato fosse stato stipulato a vantaggio dei Musulmani. Quando arrivò il momento di scrivere l’accordo, Maometto chiamò Ali e gli disse di scrivere: “Nel nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso”, ma il negoziatore dei Quraysh, Suhayl bin ‘Amr, lo fermò: “Io non accetto questo; quindi scrivi: Nel tuo nome, O Allah”. Maometto disse ad Ali di scrivere come Suhayl aveva ordinato.
Ma Suhayl non aveva finito. Quando Maometto disse ad Ali di continuare scrivendo: “Ciò è quanto Maometto, l’apostolo di Dio, ha concordato con Suhayl bin ‘Amr” protestò ancora. “Se io avessi testimoniato che tu eri l’apostolo di Dio” Suhayl disse a Maometto “io non ti avrei combattuto. Scrivi solo il tuo nome e il nome di tuo padre”. Ancora il Profeta dell’Islam, non ostante la crescente costernazione dei suoi seguaci, disse ad Ali di scrivere il documento come voleva Suhayl.
Nella versione finale del trattato, Maometto sbalordì i suoi uomini, accettando clausole che sembravano svantaggiose per i Musulmani: coloro che fuggivano dai Quraysh e si rifugiavano dai Musulmani sarebbero stati restituiti ai Quraysh, mentre quelli che fossero fuggiti dai Musulmani e avessero chiesto protezione ai Quraysh, non sarebbero stati restituiti ai Musulmani.
Ma ben presto Maometto ruppe il patto. Una donna dei Quraysh, Umm Kulthum, raggiunse i Musulmani a Medina; i suoi due fratelli andarono da Maometto, chiedendone la restituzione “in accordo col trattato tra lui e i Quraysh a Hudaybiyya”. Ma Maometto rifiutò: Allah lo aveva vietato. Infatti aveva inviato a Maometto una nuova rivelazione:
“O voi che credete! Quando vengono a rifugiarsi da voi delle donne credenti, esaminatele e mettetele alla prova: Allah conosce meglio la loro fede: se voi confermate che sono credenti, allora non restituitele agl’infedeli”. (60:10)
Rifiutando di restituire Umm Kulthum ai Quraysh, Maometto violò il trattato. Benché gli apologeti Musulmani abbiano preteso lungo tutta la storia dell’Islam che i Quraysh lo ruppero per primi, questo incidente avvenne prima di tutti quelli imputabili ai Quraysh che i Musulmani indicano come violazioni del trattato. Lo scrittore Musulmano contemporaneo, Yahiya Emerick, asserisce che Maometto giustificò la sua condotta in base a un cavillo legale: il trattato stipulava che i Musulmani avrebbero restituito ogni uomo che si fosse rifugiato da loro, non ogni donna. Anche se ciò fosse vero, subito Maometto – come Emerick riconosce – iniziò ad accogliere anche uomini che fuggivano dai Quraysh, rompendo così, definitivamente, il trattato.
La violazione del trattato in questa maniera, avrebbe rinforzato il principio che nulla era buono eccetto ciò che era vantaggioso per l’Islam, e nulla era iniquo eccetto ciò che era dannoso per l’Islam. Una volta che il trattato fu formalmente eliminato, i giuristi Islamici enunciarono il principio che le tregue in generale potevano essere concluse solo su una base temporale, fino a dieci anni, e che si poteva accettare una tregua al solo scopo di consentire a una forza Musulmana indebolita di recuperare le forze per riprendere poi il combattimento più efficacemente.
Ciò nonostante, Ibn Kathir e altri continuano a sostenere che i Quraysh ruppero il trattato per primi. E i Versetti 8-14 danno certamente l’impressione che effettivanente lo ruppero, censurando i pagani per aver venduto “i segni di Allah” per un “prezzo miserabile” (v. 9) e per aver violato i giuramenti che fecero coi Musulmani (vv. 12, 13). Così, a causa di tutti i loro enormi crimini, Allah esorta i Musulmani a combatterli (vv. 13-14). Secondo Ibn Juzayy, “Allah li punirà per mano vostra” (v. 14) significa “uccisione e cattura. Cioè una promessa di vittoria per i Musulmani”. Il Tafsir al-Jalalayn concorda: “Combattili e Dio li punirà, li umilierà mediante cattura e sottomissione, e vi darà la vittoria contro di loro …”.
“Allah li punirà per mano vostra” è un’affermazione importante: significa che i jihadisti sono i sicari di Allah sulla terra che puniscono i non credenti per l’ira divina. Pertanto, quando i musulmani invocano Allah per punire qualcuno, in sostanza chiedono che la punizione sia eseguita da uno di loro. In questo modo “guarirà i petti dei credenti ed espellerà la collera dai loro cuori”. (vv. 14–15): fare violenza ai non credenti nella causa di Allah calmerà i cuori dei credenti.
Tamerlan Tsarnaevm, il jihadista che provocò diversi morti alla maratona di Boston, aveva sulle note del suo computer citazioni del Corano, tra cui 9:14-15:
Combatteteli finché Allah li castighi per mano vostra, li copra di ignominia, vi dia la vittoria su di loro, guarisca i petti dei credenti, ed espella la collera dai loro cuori
Nel settembre 2014, lo Stato Islamico ha organizzato una guerra in larga scalacontro l’Occidente. Ai soldati veniva rivolta questa dichiarazione: “Per Allah, ha guarito le casse dei credenti attraverso l’uccisione del nusayriyyah (alawites) e rafidah (sciiti) per mano tua.” Anche questo era un riferimento a 9:14-15. Quindi, nel febbraio 2015, lo Stato islamico ha intitolato il video dell’esecuzione tramite incendio del pilota giordano Muaz al-Kassasbeh “To Heal the Believers ‘Chests”.
In Marzo 2006, uno studente Iraniano di ventidue anni di nome Mohammed Reza Taheri-azar guidò un SUV nel campus dell’Università del North Carolina a Chapel Hill, cercando deliberatamente di uccidere le persone e riuscendo a ferirne nove. Dopo l’incidente, apparve particolarmente compiaciuto di sé stesso, sorridendo e salutando a gesti la folla, dopo un’apparizione in tribunale, dove spiegò “di essere felice per l’opportunità di diffondere la volontà di Allah”. In seguito scrisse sei lettere al , il giornale degli studenti dell’Università del North Carolina, spiegando i motivi del suo gesto. In una di queste, riferisce una lista di “Note Coraniche Rilevanti per l’attacco del 3 Marzo 2006”.
Queste includono “Istruzioni e linee-guida per combattere e uccidere per la causa di Allah”. Sotto “Ragioni per combattere per la causa di Allah”, citò i Versetti 14 e 15 della Sura 9, spiegando che il combattimento serviva a ” togliere la collera e l’ira dai cuori dei seguaci di Allah”.
In effetti, in questi Versetti Allah promette che, mentre punisce i miscredenti per mano dei credenti e li copre di vergogna, Egli “guarirà i petti dei credenti e placherà l’indignazione dei loro cuori”. Ibn Juzayy e il Tafsir al-Jalalayn, tuttavia, si concentrano sulla parte del Versetto che dice che “Allah si rivolge a chi vuole”. Ibn Juzayy spiega: “Allah si rivolgerà a qualcuno di quegl’infedeli così che diventino Musulmani”. Questa decisione, come abbiamo visto, è esclusivamente di Allah. Allah non abbandonerà coloro che “combattono con tutta la loro forza” (v. 16). La parola usata qui è jahadu (جَاهَدُواْ), una forma di “jihad” come è spiegato qui.
Quindi i Versetti 17-22 dichiarano che gli idolatri o politeisti (mushrikina, ْمُشْرِكِينَ, da mushrik, politeista) non sono degni di prendersi cura della Moschea Sacra alla Mecca – benché al tempo della rivelazione di questa Sura i pagani avessero ancora il controllo di questa moschea. Essi la controllano, ma, come commenta Ibn Juzayy, “non hanno né il diritto, né il dovere di farlo. Essi occupano questi (luoghi) mediante occupazione forzosa e ingiustizia”. Non hanno diritto alcuno alla moschea perché, secondo Ibn Kathir e anche secondo una generalizzata tradizione Islamica, lo stesso Abramo la costruì come un tempio per Allah.
I Versetti 23-28 raccomandano ai credenti di separarsi dagl’infedeli e di combatterli. I credenti devono interrompere ogni legame perfino con le loro famiglie, se non sono Musulmani (versetti 23-24). Dice Ibn Kathir: “Allah ordina di evitare gl’infedeli, anche se sono i tuoi genitori o i tuoi figli, e proibisce di prenderli come aiutanti se scelgono la miscredenza invece della fede”. Ibn Juzayy nota che il Versetto 24, col suo monito di non valutare nulla in questa vita più di Allah, è “una minaccia a chiunque antepone la sua famiglia, le sue proprietà o la sua dimora alla emigrazione e alla jihad”. “Emigrazione” si riferisce al trasferimento a Medina che, a quel tempo, era obbligatorio per tutti i veri credenti.
I Versetti 25 e 26 si riferiscono alla Battaglia di Hunayn che fu combattuta dopo che Maometto conquistò la Mecca. Una volta divenuto il capo della Mecca, c’era ancora un ulteriore grande ostacolo tra lui e il potere su tutta l’Arabia. Malik ibn ‘Awf, un membro della tribù degli Hawazin della città di Ta’if, a Sud della Mecca, cominciò a raccogliere truppe per combattere i Musulmani. Il popolo di Ta’if aveva respinto Maometto e lo aveva trattato molto male quando si era presentato come profeta, dieci anni prima. Erano rivali storici dei Quraysh e avevano considerato la loro conversione all’Islam con disprezzo. Malik radunò un esercito e marciò per affrontare i Musulmani; secondo Ibn Ishaq, Maometto lo incontrò con un esercito di 12 mila uomini, e disse, parafrasando il Versetto 25 (“il vostro grande numero vi rese felici“): “Oggi non saremo sconfitti per mancanza di numeri”.
I due eserciti si scontrarono in un wadi – il greto asciutto di un fiume – chiamato Hunayn, vicino alla Mecca. Malik e i suoi uomini erano arrivati per primi e avevano occupato posizioni che garantivano loro un immenso vantaggio tattico. I Musulmani, non ostante il loro superore numero, furono sbaragliati. Appena ruppero la formazione e fuggirono, Maometto iniziò a gridare: “Dove state andando, uomini? Venite da me. Io sono l’Apostolo di Dio. Io sono Maometto, figlio di ‘Abdullah”. Alcuni dei Musulmani si rincuorarono e gradualmente la marea si invertì – benché con enormi perdite in entrambi gli schieramenti.
I Musulmani alla fine prevalsero, spazzando via l’ultimo maggiore ostacolo tra il Profeta dell’Islam e il completo controllo dell’Arabia. Dopo la battaglia, Maometto ricevette un’altra rivelazione che spiegava come i Musulmani avessero vinto a causa di un aiuto soprannaturale (v. 26). Con Malik sconfitto, i Musulmani in seguito conquistarono Ta’if con scarsa resistenza. Dirigendosi nella città, Maometto si fermò sotto un albero, e, trovando la proprietà di suo gradimento, mandò a chiamare il proprietario:”O vieni fuori, o distruggeremo la parete”. Ma il proprietario rifiutò di presentarsi a Maometto, così, ovviamente, i Musulmani distrussero la sua proprietà. Ma, cercando di convincere le tribù di Ta’if ad abbracciare l’Islam, Maometto fu misericordioso con loro. Anche nella distribuzione del bottino, favorì alcuni recenti convertiti dei Quraysh, cercando di rinforzare la loro fedeltà all’Islam. Tuttavia, il suo favoritismo provocò malcontento. Un Musulmano lo affrontò sfrontatamente: “Maometto, ho visto cosa hai fatto oggi… Non credo che tu sia stato giusto”.
Il Profeta dell’Islam era incredulo. “Se la giustizia non si trova con me, dove mai la troverai?”. E difatti, per l’Islam le parole e le azioni di Maometto sono il più alto esempio di comportamento, costituendo l’unico standard assoluto: qualsiasi cosa confermata da un esempio del Profeta è buona.
Secondo Ibn Juzayy, la promessa che “Allah si rivolgerà a chiunque egli vuole” (v. 27) significa che “la tribù degli Hawazin che aveva combattuto i Musulmani a Hunayn si convertì all’Islam”.
Gl’infedeli sono immondi, e quindi non devono entrare nella Moschea Sacra (v. 28). Gli Sciti, in particolar modo, lo considerano un argomento di purezza rituale. L’Ayatollah Sistani, che molti osservatori hanno identificato come un faro di speranza democratica per l’Iraq, molto probabilmente non prevede uno stato in cui gl’infedeli hanno diritti uguali a quelli dei credenti, dato che elenca i non-Musulmani con le altre cose immonde:
Le seguenti dieci cose sono essenzialmente najis [impure, immonde]:
- Urine
- Feci
- Sperma
- Cadavere
- Sangue
- Cane
- Maiale
- Kafir [infedele]
- Bevande Alcoliche
- Il sudore di un animale che mangia continuamente najasat [cose immonde]
Questa idea è basata sul Versetto 28. Il Tafsir al-Jalalayn dice che i politeisti sono “impuri per la loro interna sozzura” e As-Suyuti aggiunge che alcuni sostengono che “essi sono effettivamente impuri cosicché, se diventano Musulmani, devono fare il ghusl [l’abluzione completa] e si deve fare il wudu’ [l’abluzione parziale] dopo avergli stretto la mano”. Continua notando anche che questo Versetto vieta agl’infedeli l’ingresso alla Moschea Sacra alla Mecca, benché sottolinei che “Abu Hanifa dice che il Popolo del Libro non è escluso, perché questo (Versetto) è specifico per gl’idolatri”. Tuttavia, a causa del divieto di Maometto per i non-Musulmani di stare in Arabia, è molto improbabile che un membro del Popolo del Libro possa entrare oggi alla Mecca.