Bloggando il Corano: Sura 3, “La Famiglia di Imran”, Versetti 121-200
Bloggando il Corano: Sura 3, “La Famiglia di Imran”, Versetti 121-200.
di ROBERT SPENCER (5, Agosto, 2007)
Il Versetto 121 inizia una disamina delle lezioni della Battaglia di Uhud e della Battaglia di Badr. A Badr nel 624, i Musulmani superarono ogni previsione sconfiggendo la Tribù pagana dei Quraysh della Mecca; in un successivo scontro a Uhud l’anno seguente, i pagani sconfissero i Musulmani e Maometto fu leggermente ferito. Allah ricorda a Maometto che quando lui e i Musulmani uscirono per la battaglia a Uhud, due gruppi di Musulmani quasi disertarono. Non avrebbero dovuto avere paura, perché “Allah era il loro protettore”, e i credenti devono avere fiducia in lui (v. 122). Dopo tutto, quando i Musulmani erano solo “una screditata piccola forza” (v. 123), a Badr Allah garantì loro la vittoria. Secondo la tradizione Islamica, 313 Musulmani sconfissero a Badr una forza molto più grande, perché Allah inviò tremila angeli a combattere a fianco dei Musulmani (v. 124). Questa è una delle ragioni per cui oggi la superiore potenza militare Americana non intimidisce i jihadisti.
Secondo Ibn Ishaq (Sirat Rasul Allah, p. 300), quando i Quraysh arrivarono a Badr, circa un migliaio, Maometto gridò ad Allah: “O Dio, se questo gruppo oggi muore Tu non sarai mai più venerato”. Ma poco dopo Maometto disse al suo seguace Abu Bakr: “Su di morale, o Abu Bakr. L’aiuto di Dio ti è arrivato. Qui c’è Gabriele che tiene le redini di un cavallo e lo guida. C’è della polvere sui suoi denti anteriori”. Poi Maometto camminò verso le sue truppe a grandi passi e annunciò una promessa memorabile – una promessa che ha rincuorato i guerrieri Musulmani nei secoli: “Per quel Dio nelle cui mani è riposta l’anima di Maometto, nessun uomo sarà ucciso oggi combattendo contro di loro con indefesso coraggio, avanzando e non retrocedendo, a cui Dio non garantisca il suo ingresso in Paradiso”. Uno dei guerrieri Musulmani, ‘Umayr bin al-Humam, esclamò: “Bene, bene! Non c’è niente tra me e il mio ingresso in Paradiso tranne essere ucciso da questi uomini?” gettò via alcuni datteri che stava mangiando, corse al centro della battaglia e combatté fin che fu ucciso. I guerrieri Musulmani hanno combattuto con identica tenacia lungo la storia, sapendo che, se avessero vinto, avrebbero goduto del bottino di guerra (su cui c’è una discussione più approfondita nella Sura 8) e che, se fossero stati uccisi, avrebbero ottenuto il Paradiso.
E la chiave per la vittoria in terra è l’obbedienza ad Allah: “se perseverate e vi astenete dal male, e (il nemico) vi attacca improvvisamente, il vostro Signore vi aiuterà con cinquemila angeli che tutto travolgono” (v. 125). I Versetti 126-129 enfatizzano che la decisione tra vittoria e sconfitta appartiene solo ad Allah.
I Versetti 130-139 sono rivolti alla condanna dell’usura, ed esortano i Musulmani alla pietà, all’obbedienza e alla generosità, invitandoli a chiedere ad Allah il perdono dei loro peccati. Allah invita i credenti a “viaggiare sulla terra per vedere che fine fecero quelli che respinsero la Verità” (v. 137). Questo è uno dei fondamenti dell’idea Islamica che le civiltà pre-Islamiche e quelle non-islamiche sono tutte jahiliyya – la società dei non-credenti, che è senza valore. V. S. Naipaul incontrò questo atteggiamento viaggiando attraverso la “Casa dell’Islam“. Per molti Musulmani, osservò nel suo Tra i Credenti,
“il periodo pre-Islamico è un periodo di oscurità: ciò fa parte della teologia Islamica. La storia deve servire la teologia” [V. S. Naipaul, Among the Believers: An Islamic Journey (London: Vintage Books, 1982), 103]
Naipaul raccontò che alcuni Musulmani Pakistani, invece di apprezzare il rinomato sito archeologico nazionale a Mohenjo Daro, videro le sue rovine come un’opportunità di insegnamento per l’Islam, raccomandando che vi fosse esposto il Versetto del Corano 3:137 come strumento di insegnamento. Il Versetto 139 poi promette “superiorità” a coloro che sono “sinceri nella fede” – come afferma Ibn Kathib, “certamente, la vittoria finale e il trionfo sarà vostro, o credenti”. Tuttavia, secondo Ibn Abbas, alcuni dei Musulmani a Uhud ritennero che questo significasse che i credenti sarebbero stati “elevati” sopra i non-credenti – subito dopo scalarono un monte e misero in fuga un gruppo di Quraysh.
I Versetti 140-179 sollevano la questione: ma perché i Musulmani furono sconfitti a Uhud? E’ una prova di Allah (v. 141) – una prova sia per i credenti che per gli ipocriti (vv. 166-7). I credenti pensarono veramente di entrare in Paradiso senza che Allah mettesse alla prova quelli che “lottarono duramente” – jahadu (جَاهَدُو), si impegnarono nella jihad (v. 142)? Anche se lo stesso Maometto fosse stato ucciso i Musulmani avrebbero dovuto continuare a combattere (v. 144), poiché nessuno può morire senza il consenso di Allah (v. 145). Guardate i profeti, che non vacillarono anche “se incapparono nel disastro sulla via di Allah” (v. 146). I Musulmani non devono obbedire ai non-credenti (v. 149), perché Allah getterà presto il terrore nei loro cuori (v. 151).
Certamente, i Musulmani a Uhud stavano per annientare i loro nemici quando furono distratti: quando i guerrieri Musulmani “videro fuggire le donne sollevando le loro vesti e mostrando gli anelli alle caviglie e le gambe”, cominciarono a urlare: “Il bottino! Gente, il bottino!”. Disobbedendo agli ordini di Maometto, abbandonarono la loro posizione per inseguire queste donne – e così Allah permise che i pagani mettessero in fuga i Musulmani, come una prova (vv. 152-153). I Musulmani portarono la sconfitta a sè stessi (v. 165). I Versetti 154-155 parlano del dispiacere di questi uomini dopo Uhud e il Versetto 159 elogia Maometto per essere stato clemente con loro. I Versetti 156-158 e 160 riconfermano l’affermazione che vita e morte, come pure vittoria e sconfitta sono esclusivamente nelle mani di Allah, pertanto nessuno deve aver paura di combattere. Perché chi è ucciso in battaglia non è morto, ma sta godendo nei Giardini del Paradiso (vv. 169-172; vedi anche 136, 163).
Secondo Ibn Kathir, il Versetto 161 fu rivelato a proposito di un abito rosso che mancava dal bottino di Badr. Qualcuno disse che avrebbe potuto averlo preso il Messaggero di Allah. Ma questo Versetto assolse Maometto: un profeta non può ingannare o frodare. E la sua presenza è un grande favore di Allah (v. 164).
I Versetti 173-175 lodano quelli che spazzarono via la paura e andarono in battaglia; “essi tornarono con Grazia e abbondanza da parte di Allah” – cioè il bottino di guerra in questo mondo e il Paradiso nel prossimo. I Versetti 176-179 dicono ai credenti di non affliggersi per i non-credenti che prosperano unicamente “per accrescere i loro peccati. E il loro sarà un disastro vergognoso” (v. 178).
I Versetti 180-200 criticano severamente i non-credenti e promettono ricompense ai credenti. Coloro che pretendono che “Allah è povero e noi siamo ricchi” (v. 181) sono gli Ebrei, secondo Ibn Kathir e il Tafsir al-Jalalayn, Asad, Daryabadi, Bulandshahri, e altri. Ma l’inferno li sta aspettando, perché loro uccisero i profeti (v. 183). Il Popolo del Libro si sbarazzò del patto e “acquistò con ciò un ben misero guadagno! Che abominevole affare conclusero!” (v. 187). Pertanto, i credenti non li devono invidiare, anche se prosperano, perché Allah li manderà all’inferno (vv. 196-197) mentre i credenti godranno i Giardini del Paradiso (v. 198). Anche il Popolo del Libro che accetta Maometto come profeta e non “vende i Segni di Allah per un misero guadagno” sarà ricompensato (v. 199). Anche qui, “Segni” è ayat, la parola usata per indicare i Versetti del Corano. Il Versetto 200 promette che coloro che obbediranno ad Allah, prospereranno. Questa idea ha portato ad attribuire ogni disastro durante tutta la storia Islamica alla disobbedienza, per cui l’unico rimedio prescritto fu la riaffermazione di una stretta osservanza Islamica