Bloggando il Corano: Sura 16, “L’Ape”

Commento al Corano: Sura 16, L’Ape
di ROBERT SPENCER (17, Febbraio, 2008)

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La Sura 16, “L’Ape” è un’altra della serie delle tarde Sure Meccane che è iniziata con la Sura 10. Il titolo deriva dal v. 68, che ci spiega che Allah pensò che le api facessero quello che fanno le api.

I Versetti 1-19 sottolineano che Allah ha creato tutte le cose, che provvede alle necessità di tutta l’umanità e che tutti gli esseri creati Gli danno testimonianza. Ibn Kathir dice che “le vie che allontanano” dalla Retta Via dell’Islam (v. 9) sono “varie opinioni e desideri come l’Ebraismo, il Cristianesimo e le teorie di Zoroastro”. Il Tanwîr al-Miqbâs min Tafsîr Ibn ‘Abbâs concorda, dicendo:

è Allah che guida il monoteismo, e alcune delle religioni sono distorte e ingiuste, come l’Ebraismo, il Cristianesimo e le teorie di Zoroastro. E se Allah avesse voluto, avrebbe guidato tutti alla Sua religione.

Così. ancora una volta fede e malafede dipendono da Allah e non dall’individuo.

I Versetti 20-42 evidenziano la perversità dei miscredenti e il giudizio loro riservato da Allah. Gli oggetti della loro adorazione sono essi stessi creati (v. 20), e affermano con scherno che le rivelazioni di Maometto sono solo “favole degli antichi” (v. 24). Cioè suggeriscono che Maometto non riceveva le parole di Allah da Gabriele per trasmetterle al popolo, ma che si limitava a raccontare vecchie storie: “essi dicono” secondo il Tafsir al-Jalalayn, “[che] queste [rivelazioni] sono ‘favole, bugie degli antichi’, per condurre la gente lontano dalla retta via”. Nel Giorno del Giudizio questa gente non sarà schiacciata solo dal peso dei suoi peccati, ma “anche (da alcuni) dei pesi degli ignoranti, che loro hanno ingannato” (v. 25). Saranno condannati all’inferno (v. 29), mentre i giusti abiteranno nei deliziosi giardini del Paradiso (v. 32).

I miscredenti si lamenteranno che, “se Allah avesse voluto”, loro e i loro antenati non avrebbero venerato nessun altro se non Allah (v. 35) – una lamentela ragionevole, alla luce delle ripetute affermazioni del Corano a proposito di Allah che conduce la gente sulla via sbagliata, pur avendo la capacità, se così volesse, di rendere tutti credenti (vedi 10:99-100). Ma qui la scusa viene respinta, dato che Allah ha mandato messaggeri ad ogni popolo, avvertendoli di adorare solo Allah (v. 36).

Ibn Kathir cerca di mitigare la durezza dell’idea che se Allah avesse voluto, tutta l’umanità avrebbe creduto, spiegando che, in realtà, Allah non vuole che alcuno sia senza fede, e manda a tutti dei messaggeri, ma semplicemente permette loro di non credere, se così decidono: “La volontà legislativa di Allah è chiara e non può essere presa da loro come scusa, poiché Egli vietò loro di fare così mediante la lingua dei Suoi Messaggeri, ma per la Sua universale volontà (cioè, [la volontà] mediante cui permette che gli eventi accadano, anche se non Gli piacciono) Egli permise loro di fare ciò che era stato stabilito per loro. Allah creò l’inferno e i suoi abitanti, sia i diavoli (Shayatin) che i miscredenti, ma a Lui non piace che i Suoi servi non credano”. Allah non guida coloro “a cui permette di deviare” (v. 37) – cioè, continua Ibn Kathir – “colui cui ha permesso di deviare, così, chi lo può guidare, se non Allah? Nessuno”. Perché Allah compie tutto ciò che intende fare (v. 40), e “nulla” dice Ibn Kathir, “può fermarLo od opporsi a Lui”.

Allo stesso tempo, coloro che lasciano le proprie case a motivo di Allah saranno ricompensati sia in questo mondo che nel prossimo (v. 41). Secondo il Tanwîr al-Miqbâs min Tafsîr Ibn ‘Abbâs, questi sono i Musulmani che fuggirono dalla Mecca con Maometto e che si stabilirono a Medina; Ibn Kathir invece, li identifica con i Musulmani che, in precedenza, si ripararono in Abissinia per sfuggire alla persecuzione dei Quraish pagani.

I Versetti 43-96 ripetono molti di questi temi: Allah giudicherà coloro che tramano contro i Musulmani (vv. 45-47; 84-89); le Sue creature Gli rendono testimonianza (v. 48-50; 64-69; 79-82); Allah è l’unico Dio (v. 51); Satana è il protettore di coloro che respingono i Messaggeri di Allah (v. 63); il compito di Maometto è unicamente di avvertire la gente del prossimo giudizio (v. 82). I politeisti osano dire addirittura che Allah ha delle figlie, mentre loro stessi hanno figli maschi (v. 57). Il Tafsir al-Jalalayn spiega che “a Lui attribuiscono figlie, a cui essi sono contrari, quando [comunque] Egli è [innalzato] oltre l’avere discendenti, mentre a loro stessi assegnano figli, secondo la loro scelta, così che il meglio sia esclusivamente loro”. La sovranità di Allah su ogni cosa è riaffermata nel v. 93, che il Tafsir al-Jalalayn parafrasa come: “Perché, se Dio avesse voluto, avrebbe potuto fare di voi una unica comunità, gente di un’unica religione, ma Lui fa deviare chi vuole e guida chi vuole, e voi sarete certamente interrogati nel Giorno della Resurrezione, un interrogatorio di rimprovero, a proposito di ciò che avete compiuto, in modo da essere ricompensati per le vostre azioni“.

I Versetti 97-128 difendono Maometto e il Corano da alcune delle accuse dei miscredenti e invitano nuovamente tutti ad accettare il messaggio di Maometto, che è il messaggio di Abramo (v. 123), e di adorare unicamente Allah. Allah si lamenta del fatto che, ogni volta che abroga un versetto della Sua rivelazione e lo sostituisce con un altro, i miscredenti accusano Maometto di inventarselo (v. 101). Ma, in realtà, le rivelazioni di Maometto provengono dallo Spirito Santo (v. 102) – cioè, Gabriele. I miscredenti pretendono che Maometto impari il contenuto del Corano da un uomo e che poi lo spacci a loro come rivelazione divina, ma quello che loro sospettano è uno straniero, mentre il Corano è in puro Arabo (v. 103). Ibn Kathir ammette che “forse il Messaggero di Allah usava sedersi con lui qualche volta e parlare un po’ con lui, ma lui era uno straniero che non sapeva bene l’arabo, ma solo qualche semplice frase per rispondere alle domande, quando doveva farlo”.

Chi era questo misterioso straniero che il Corano è così ansioso di diminuire di importanza? Alcuni ritengono che fosse Waraqa, lo zio della moglie di Maometto, che per primo lo riconobbe come profeta e che, secondo la tradizione Islamica, usava “scrivere dal Vangelo in Ebraico quanto Allah voleva che lui scrivesse”. Oppure, avrebbe potuto essere uno dei primi compagni di Maometto, Salman il Persiano: la parola Araba qui tradotta come “straniero” è “ajami” (أَعْجَمِيٌّ), che significa anche Persiano.

Poi, nel v. 106, con una differenza degna di nota dal concetto Cristiano di Martirio, Allah consente ai Musulmani di rinnegare la loro fede quando siano sotto “costrizione”, purché il loro cuore rimanga “fermo nella Fede”. Così spiega Ibn Kathir: “Si tratta di una eccezione, nel caso in cui uno pronunci una affermazione di miscredenza e si dimostri verbalmente d’accordo con i Mushrikin [miscredenti] perché è forzato a farlo dalle percosse e dalla violenza a cui è soggetto, ma nel suo intimo rifiuta di accettare ciò che sta dicendo ed è, in realtà, in pace con la sua Fede in Allah e nel suo Messaggero”. Questo è un altro fondamento dell’idea dell’inganno religioso nell’Islam che abbiamo già incontrato discutendo 3:28.

La sura termina con una breve discussione delle leggi alimentari e con istruzioni a Maometto di “invitare (tutti) sulla via del Signore con saggezza e bei discorsi” (v. 125).

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