La teoria del jihad
Il jihad è un obbligo istituito per volere divino. Il suo adempimento da parte di alcuni ne dispensa altri. Per noi malikiti è preferibile non dare inizio alle ostilità con il nemico prima di averlo invitato ad abbracciare la religione di Allah, a meno chenon sia egli stesso a prendere l’iniziativa di attaccare. Due sono le alternative da proporgli: o si converte all’islamismo, o paga il testatico ; in caso contrario gli si farà guerra. E’ concesso agli infedeli di pagare la jizya solo se vivono in un territorio in cui è possibile applicare le nostre leggi. Se però sono fuori dalla nostra portata [giurisdizione], potranno pagarla solo se si recano nel nostro territorio. Altrimenti si farà loro guerra […].
Si deve combattere il nemico senza preoccuparsi di appurare se il jihad sarà condotto da un capo devoto o depravato.
Non vi è alcuna controindicazione rispetto all’eliminazione dei prigionieri di razza bianca non arabi. Ma nessuno dovrà essere ucciso se ha ottenuto l’aman , ne si dovranno violare gli impegni presi nei confronti dei prigionieri. Non si trucideranno ne le donne, ne gli impuberi. Si eviterà di uccidere monaci e rabbini, a meno che non abbiano preso parte ai combattimenti. Anche la donna sarà messa a morte se ha partecipato alla guerra. L’aman accordato dal più umile dei musulmani dev’essere ritenuto valido anche dagli altri. Perfino la donna e l’impubere islamici possono concederlo se ne comprendono la portata. Ma, secondo un’altra opinione, tale aman è valido solo se un imam lo ratifica.
Del bottino raccolto dai musulmani nel corso delle operazioni belliche
l’imam preleverà un quinto, e distribuirà i restanti quattro quinti tra i membri dell’esercito. Tale spartizione avverrà di preferenza in territorio nemico¹.
Ibn Abi Zayd al-QayrawanI
Nell’islamismo la guerra contro l’infedele è un obbligo di natura divina, poiché questa religione si rivolge a tutti gli uomini, ed essi devono abbracciarla per amore o per forza. Perciò presso i musulmani sono state istituite sia l’autorità spirituale sia quella temporale, affinchè i due poteri si adoperino contemporaneamente a realizzare questo duplice scopo. Le altre religioni non si rivolgono alla totalità degli uomini, pertanto non impongono ai loro adepti l’obbligo di fare la guerra agli infedeli; esse autorizzano a combattere soltanto per autodifesa. Per questo motivo i leader di tali religioni non si occupano minimamente di amministrazione politica. Il potere temporale è nelle mani di un individuo che lo ha ottenuto in modo del tutto fortuito o in seguito a un accordo con cui la religione non ha niente a che fare. Presso questi popoli la sovranità [politica] è nata perché, come abbiamo già indicato, un sentimento collettivo per sua stessa natura li ha portati a ciò; non è stata la religione a imporre loro questa istituzione, dal momento che essa non prescrive loro di sottomettere gli altri popoli, come avviene nell’islamismo. Essi sono obbligati soltanto ad assicurare la sopravvivenza della loro religione all’interno della loro nazione; perciò gli israeliti, dopo l’epoca di Mosè e di Giosuè, attesero circa quattro secoli prima di pensare a fondare un regno: la loro unica preoccupazione era preservare in vita il loro culto […]².
‘Abd al-Rahman ibn Muhammad ibn Khaldun
Da allora in poi i cristiani, in seguito a una serie di dispute relative ai dogmi e a ciò che si deve credere a proposito del Messia, si divisero in più sette, ciascuna delle quali invocava il sostegno del re cristiano che era anche il suo sovrano. Tale disparità di opinioni, per cui di volta in volta nascevano sempre nuove sette, prevalse per molti secoli, fino a quando rimasero solo tre sette principali: i melchiti, i giacobiti e i nestoriani. Non riteniamo opportuno contaminare le nostre pagine riportando le loro empie opinioni, che peraltro sono generalmente piuttosto note. Tutte queste dottrine sono erronee, come ha affermato il Corano. Noi non dobbiamo né discutere né ragionare con gli infedeli su questi temi: dobbiamo solo metterli di fronte alla scelta tra l’adesione all’islamismo, il pagamento della jizya o la morte³.
Ibn Khaldun
Il bottino
Nell’Islam le entrate statali che hanno il loro fondamento nel Libro [Corano] e nella sunna sono tre: il bottino <ghanīma>, l’elemosina rituale <sadaqa> e il fay.
Il bottino è l’insieme dei beni sottratti agli infedeli con la forza. Allah stesso ne ha sancito lo statuto nella sura al-Anfal [=Il bottino], che ha rivelato in occasione della battaglia di Badr, e a cui ha dato appunto il nome di al-Anfal in quanto il bottino costituisce un accrescimento della ricchezza islamica. Allah ha detto: «Ti interrogheranno a proposito del bottino. Dì: «Il bottino è di Dio e del Suo Messaggero”»⁴.
Nei due Sahih, secondo [Jabir ibn ‘Abd Allah, il Profeta ha detto: «lo ho ricevuto cinque doni che mai nessun Profeta aveva mai ottenuto prima di me. Ho trionfato con il terrore nel giro di un mese. Per mezzo mio, la terra è diventata moschea e purezza: ogni uomo della mia comunità, sorpreso dall’ora della preghiera, può pregare ovunque si trovi. Ho ricevuto il permesso di accumulare bottino, privilegio che non era mai stato accordato ad alcuno dei miei predecessori. Ho ottenuto il dono dell’intercessione. I profeti che mi hanno preceduto erano stati inviati unicamente ai loro popoli: io invece sono stato inviato all’umanità intera».
Il Profeta ha detto: «lo sono stato inviato con la spada prima del giorno della resurrezione perché tutti gli uomini servano l’unico Dio, senza alcuna figura a esso associata. Le mie risorse sono state poste all’ombra della mia lancia. Coloro che si sono levati contro i miei ordini hanno avuto in sorte umiliazione e avvilimento. Chiunque cerchi di assomigliare a questi uomini dev’essere considerato simile a loro»⁵.
«Il fay’»
Il fay‘ ha per fondamento i seguenti versetti della sura del Raduno [AI- Hashr], che Allah rivelò a Maometto durante la spedizione contro i banu Nadir, seguita alla battaglia di Badr.
Dio ha detto: «Per ciò che del bottino preso loro Dio ha destinato al suo Profeta voi non avete fatto correre cavalli né altre cavalcature. Dio dà ai suoi Profeti potere su chi Egli vuole. Dio è Onnipotente. Ciò che Dio ha concesso al suo Profeta come bottino preso agli abitanti della città, è di Dio, del Profeta, dei suoi parenti, degli orfani, dei poveri, del viandante.
Questi beni sono stati designati con l’appellativo di fay’ in quanto AIlah li ha sottratti agli infedeli per restituirli <afa’a, radda> ai musulmani. In principio Allah ha creato i beni di questo mondo unicamente perché concorressero al suo servizio, dal momento che egli ha creato gli uomini solo per esserne servito. Perciò gli infedeli perdono ogni diritto sia sulle loro persone che sui loro beni – di cui non si avvalgono certo per servire Allah – in favore dei veri credenti, ai quali Allah restituisce ciò che è loro dovuto poiché essi lo servono; allo stesso modo si restituisce a un uomo l’eredità di cui è stato privato, anche se fino ad allora non ne era entrato in possesso.
In tale categoria rientrano il testatico versato dagli ebrei e dai cristiani; i contributi imposti ad alcuni paesi nemici o i doni da essi offerti al sultano dei musulmani, come ad esempio le «spedizioni» effettuate da alcuni popoli cristiani; la decima pagata dai commercianti delle regioni appartenenti alla «zona di guerra»; la tassa del ventesimo, riscossa dai popoli protetti che praticano il commercio al di fuori dei loro paesi d’origine; i pagamenti aggiuntivi imposti alle Genti del Libro che violano il patto di protezione, e l’imposta fondiaria , che in origine colpiva solo le Genti del Libro e che in seguito fu parzialmente estesa anche ad alcuni musulmani.
Sono inoltre incluse nel fay’ tutte le proprietà statali che rientrano nel patrimonio comune dei musulmani, come quelle che non hanno un possessore chiaramente designato: i beni vacanti per assenza di eredi, quelli usurpati, i prestiti o i depositi per i quali è impossibile risalire ai proprietari, e, in generale, tutti i beni mobili o immobili appartenenti a cittadini islamici e caratterizzati da un analogo status. Tutti i possedimenti di questo tipo, infatti, concorrono a formare il patrimonio comune dei musulmani […].
Gli uomini dei quali è opportuno «conquistare i cuori» [con i doni] possono essere sia infedeli che musulmani. Se si tratta di infedeli, mediante questi doni si spera di ottenere un vantaggio – ad esempio indurli a convertirsi – o di evitare un danno; è bene ricorrervi solo a condizione che sia impossibile agire diversamente. Anche se si tratta di musulmani influenti si spera in tal modo di ricavare un qualche beneficio: ad esempio consolidarne la conversione, determinare con la forza quella di un loro simile, procurarsi il loro sostegno al fine di ottenere il pagamento della sadaqa da un gruppo che rifiuta di versarla, arrecare danno a un nemico o impedirgli di nuocere all’Islam: anche con loro, tuttavia, si ricorrerà ai doni solo a condizione che tali risultati non possano essere ottenuti che in questo modo.
Queste gratifiche, accordate ai potenti e rifiutate agli umili, apparentemente somigliano a quelle elargite dai sovrani, ma il valore di un’azione è determinato dall’intenzione che la ispira.
Perciò, se tali doni sono finalizzati al comune interesse della religione e dei musulmani, saranno della stessa natura di quelli concessi dal Profeta e dai suoi califfi; se invece il loro movente è l’ambizione e la corruzione, saranno simili a quelli dispensati dal Faraone […]⁶.
Le altre due religioni rivelate sono state indebolite o dalla loro incapacità di perfezionarsi, o dal timore provato dai loro adepti di fronte alle inevitabili prove; perciò sono apparse prive di forza e di grandezza agli uomini, i quali hanno compreso che esse non erano in grado di assicurare la felicità né a loro né ad altri. Di queste due vie erronee, una è quella seguita da coloro che hanno aderito a una religione senza portarla a compimento tenendo conto di tutto ciò che è necessario alla loro esistenza – potere, jihad, risorse materiali -, l’altra quella imboccata da coloro che hanno ricercato il potere, la ricchezza o la guerra, senza subordinare tali obiettivi allo scopo prioritario di far trionfare la religione. Queste due vie sono quelle seguite rispettivamente da coloro che si sono smarriti, e da coloro che sono incorsi nella collera divina. La prima è la via dei cristiani, i quali vivono nell’errore, la seconda quella degli ebrei, oggetto della collera divina.
La retta via è unicamente quella indicata dai profeti, dai santi, dai martiri e dai devoti: è la via del profeta Maometto, dei suoi califfi, dei suoi Compagni, di coloro che hanno seguito le loro tracce e dei precursori che ci hanno mostrato il cammino: i muhajirun, gli ansar e i fedeli di seconda generazione. A tutti loro Allah ha riservato giardini in cui scorrono acque vive, dove dimoreranno per sempre. È questo il trionfo supremo⁷.
Ibn Taymiyya
O principe, tu hai chiesto anche quali siano le regole applicabili agli abitanti del «territorio della guerra» (dar al-harb) che si convertono per conservare la loro vita e i loro beni. La loro vita è sacra, i beni per conservare i quali si sono convertiti restano di loro proprietà, e lo stesso vale per le loro terre, che sono quindi soggette al pagamento della decima come quelle adiacenti a Medina, i cui abitanti si convertirono dopo <l’arrivo> del Profeta e che sono pertanto inquadrate tra le «terre della decima». La stessa regola fu applicata a Ta’if e al Bahrein, nonché ai beduini che si convertirono per conservare le loro falde acquifere e i loro terreni: entrambi sono infatti rimasti di loro proprietà, e continuano a esserlo […]⁸.
Tutti i popoli politeisti con i quali l’islam ha concluso la pace a patto che riconoscessero la sua autorità saranno soggetti alla spartizione [delle terre] e pagheranno il kharaj; essi sono infatti da considerarsi tributari, e il suolo che occupano è definito «terra del kharaj». L’importo dell’imposta sarà quello stabilito dai trattati stipulati con loro, ma sarà riscosso in buona fede e senza applicare sovrattasse.
Qualunque territorio di cui l’imam [sovrano] sia entrato in possesso con la forza, se egli lo ritiene opportuno – infatti ha piena libertà sotto tale profilo – può essere da lui spartito tra coloro che l’hanno conquistato, e in questo caso diviene «terra della decima», oppure lasciato in possesso degli abitanti, come fece Omar ibn al-Khattab per al-Sawad⁷⁵. In questo caso il territorio diviene «terra del kharaj» e nessuno può riprenderselo: i vinti ne detengono la piena proprietà, trasmissibile per eredità o mediante contratto, e l’entità del kharaj a cui è soggetto non deve superare le possibilità dei contribuenti […]⁹.
Lo statuto dei territori conquistati varia a seconda che siano arabi o non arabi: infatti si fa guerra agli arabi soltanto per farli aderire all’Islam, non per esigere da loro il testatico; da essi non si pretende altro che la conversione, e le loro terre, se ne conservano il possesso, sono considerate «terre della decima»; perfino se l’imam non gliele lascia e ne attua la spartizione, esse sono ritenute ancora «terre della decima». I criteri da adottare nei confronti dei non arabi sono diversi: infatti si combatte con loro sia per convertirli che per esigere da loro il testatico, mentre nei confronti degli arabi si persegue solo il primo scopo, visto che devono scegliere tra la conversione e la morte. Non conosciamo alcun caso in cui il Profeta, o uno dei suoi Compagni o dei califfi che gli sono succeduti, abbia accettato il pagamento del kharaj dagli arabi idolatri, i quali potevano unicamente scegliere se convertirsi o morire. Se venivano sconfitti, le loro mogli e i loro figli erano fatti prigionieri, come fece il Profeta con i banu hawazin in occasione della battaglia di Hunayn; in seguito però restituì loro la libertà. Peraltro si comportò così soltanto con gli idolatri.
I sudditi arabi che professano religioni rivelate [ebrei e cristiani] sono trattati come i non arabi: pertanto sono ammessi a pagare la capitazione. È quanto fece Omar nei confronti dei banu taghlib [tribù cristiana], ai quali raddoppiò l’elemosina rituale in sostituzione del kharaj, in linea con quanto aveva fatto il Profeta, esigendo un testatico di un dinar, o il suo equivalente in indumenti, da ogni suddito pubere dello Yemen, misura che ai nostri occhi appare simile dei popoli seguaci delle religioni rivelate. Qualcosa di analogo fece il Profeta accordando la pace agli abitanti di Najran [cristiani] in cambio di un riscatto.
Quanto ai non arabi, ebrei o cristiani, politeisti, idolatri o adoratori del fuoco, dai sudditi maschi si riscuote la capitazione. Il profeta infatti la fece pagare ai Magi di Hajar, i quali sono politeisti e non aderiscono a una religione rivelata: pertanto essi sono considerati da noi come non arabi, e non sposiamo le loro donne così come non mangiamo le bestie che sgozzano.
Omar ibn al-Khattab applicò ai non arabi di sesso maschile e di religione politeista dell’Iraq un testatico corrispondente a tre fasce di reddito: cittadini indigenti, ricchi e di condizione media.
Per quanto riguarda i rinnegati, arabi e non arabi, essi sono trattati come gli arabi idolatri: devono scegliere tra la conversione e la morte, e non sono passibili di capitazione […].
Gli abitanti dei villaggi e delle campagne – ma lo stesso vale per le città, i loro abitanti e tutto ciò che contengono – possono, a discrezione dell’imam, rimanere nelle loro terre, nelle loro case e nelle loro abitazioni, e continuare a godere dei loro beni in cambio del pagamento del testatico e del kharaj, . Non esistono eccezioni se non per gli arabi maschi e idolatri, che non sono ammessi a pagare la capitazione, e devono scegliere tra la conversione e la morte […].
L’imam può quindi scegliere tra due opzioni altrettanto valide: o effettuare la spartizione come ha fatto il profeta, o lasciare i beni alloro posto, come fece lo stesso profeta altrove, tranne che a Khaybar, o come Omar ibn al-Khattab, che lasciò tutto immutato nel Sawad [Iraq]. La maggior parte delle regioni agricole siriache ed egiziane fu conquistata con la forza, e pertanto furono ammessi a trattare solo gli abitanti delle piazzeforti. Poiché le campagne erano state occupate dai vincitori e prese con la forza, Omar le abbandonò nelle mani della comunità islamica dell’ epoca e di quelle a venire. Fu questa la soluzione adottata di preferenza da lui, e anche l’imam può conformarsi a tale linea, purché adotti in compenso le precauzioni necessarie dei fedeli e della religione¹⁰.
Strategie di combattimento
Il meglio che abbiamo sentito dire a questo proposito, a quanto pare, è che non vi è nulla di male ad adoperare ogni sorta di armi contro i politeisti: dall’inondare e bruciare le loro abitazioni al tagliare i loro alberi e le loro palme da dattero al fare uso di mangani, il tutto senza attaccare con deliberata intenzione le donne, i bambini o i vecchi in età assai avanzata. È inoltre possibile inseguire coloro che fuggono, dare il colpo di grazia ai feriti, uccidere i prigionieri quando essi costituiscono un pericolo per i musulmani, ma soltanto quelli che hanno già iniziato a radersi [i puberi], poiché gli altri sono dei bambini e non si possono giustiziare.
Quanto ai prigionieri che vengono condotti dall’imam, è a sua totale discrezione scegliere se metterli a morte o far pagare loro un riscatto, adottando la soluzione più vantaggiosa per i musulmani e più oculata per l’islam. Il riscatto imposto a costoro non è costituito né da oro, né da argento o merci preziose, ma esclusivamente da schiavi destinati al servizio dei musulmani,
Tutto ciò che i vincitori hanno raccolto sul campo di battaglia, o sottratto dai beni e dagli effetti personali dei vinti, costituisce il fay’, che viene suddiviso in cinque porzioni: una di esse è assegnata a coloro che sono elencati nel Libro sacro, mentre le altre quattro sono ripartite tra le truppe che hanno contribuito ad accumulare il bottino, nella misura di due parti per i cavalieri e una per i fanti. Se è stata conquistata una determinata porzione di territorio, l’imam adotterà la soluzione più prudente per i musulmani: se ritiene di doverla lasciare ai suoi abitanti imponendo loro il kharaj – come fece Omar ibn al- Khattab, che lasciò il Sawad [Iraq] nelle mani delle popolazioni indigene – può farlo; se invece ritiene di doverla assegnare ai conquista- tori, ripartirà il territorio tra loro dopo averne prelevato la quinta parte […].
Per parte mia, ritengo che la decisione relativa ai prigionieri spetti all’imam: a seconda di ciò che gli sembra più conveniente per I’Islam e per i musulmani, potrà farli giustiziare o usarli come riscatto per i prigionieri islamici […]¹¹.
Quando i musulmani, assediando una fortezza nemica, trattano con gli assediati, i quali accettano di arrendersi alle condizioni indicate da un uomo designato e costui decide che i combattenti siano messi a morte, le donne e i bambini fatti prigionieri, la sua decisione è da ritenersi valida. Fu appunto quello che stabilì Sa’ad ibn Mu’adh per i banu qurayza⁸³ […]⁸⁴.
Se il verdetto adottato dall’arbitro designato avesse previsto qualcosa di diverso dalla morte per i combattenti e dalla riduzione in schiavitù per le donne e i bambini, [e] se comportava l’obbligo del pagamento della capitazione, sarebbe stato ugualmente corretto; e se qualcuno, in un caso analogo, stabilisse che i vinti devono essere invitati a convertirsi, ed essi lo facessero, la sua decisione sarebbe ancora valida ed essi diventerebbero musulmani e liberi […]⁸⁵.
Sta all’imam pronunciarsi sul trattamento da riservare ai vinti, e la sua scelta cadrà su ciò che è preferibile per la religione e per l’Islam: se ritiene che l’esecuzione dei guerrieri e la riduzione in schiavitù di donne e bambini siano più utili per I’Islam e per i suoi adepti, egli adotterà quest’opzione sulla base di quanto fece Saad ibn Mu’adh, se invece ritiene più vantaggioso trasformarli in tributari soggetti al kharaj, soluzione preferibile in quanto fa aumentare il fay’, che a sua volta accresce le risorse a disposizione dei musulmani per lottare contro di loro e gli altri politeisti, allora sarà questa la misura che adotterà nei loro confronti. Infatti non è forse vero che Allah nel suo Libro dice: «Combattete» […] sino a che non versino la tassa con le loro proprie mani dopo essersi umiliati» , e che il Profeta chiamava i politeisti ad abbracciare l’islam, o, in caso di rifiuto, a pagare la capitazione, e che Omar ibn al-Khattab, dopo aver assoggettato gli abitanti del Sawad, non versò il loro sangue e ne fece dei tributari? […]. Se i vinti accettano di arrendersi sottoponendosi all’arbitrato di un musulmano designato da loro e di un esponente della loro fede, quest’ultimo verrà ricusato: non è lecito infatti tollerare la collaborazione tra un fedele e un miscredente quando si deve prendere una decisione in materia di religione. Se per errore il rappresentante del principe acconsente, e viene emessa una sentenza congiunta da questi due uomini, l’imam non le darà forza esecutiva a meno che essa non comporti che i nemici diventino tributari o si convertano; se infatti adottassero questa seconda opzione, non vi sarebbe nulla da rimproverare loro, e se si riconoscessero tributari sarebbero accettati come tali senza bisogno di una sentenza ad hoc¹².
Abu Yusuf
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¹ Abu Muhammad ‘Abd Allah ibn Abi Zayd al-Qayrawant, La Risaia (Épitre sur les élémenis du dogme et de la loi de l’lslam selon le rite malikite), tradu- zione e cura di Léon Bercher, Algeri 19605 (ed. it. La Risala, ovvero Epistola sul diritto islamico, testo arabo a fronte, Edizioni Orientamento, Caprara di Campegine 2006), p. 163.
² ‘Abd al-Rahman ibn Muhammad ibn Khaldun, Prolégomènes, trad. dall’arabo di William Mc Guckin barone de Slane, 3 voll., Imprimerie Impériale, Paris 1862-1868 (Geuthner, Paris 1934-1938), voI. 1, p. 469.
³ Ibn Khaldun, Prolégomènes cit., vol. 1, p. 476.
⁴ Henri Laoust, Le traité de droit public d’Ibn Taymiya, Institut Français de Darnas, Beirut 1948, pp. 27-28.
⁵ Laoust, Le traité de droit public d’Ibn Taymiya cit., p. 28 .
⁶ Laoust, Le traité de droit public d’Ibn Taymiya cit., p. 34.
⁷ Laoust, Le traité de droit public d’Ibn Taymiya cit., p. 178.
⁸ Abu Yusuf Ya’qub, Le livre de l’impôt foncier (Kitab al-Kharadj), trad, di Ed- mond Fagnan, Geuthner, Paris 1921, pp. 94-95.
⁹ Abn Yusuf, Le livre de l’impôt foncier cit., p. 95.
¹⁰ Abu Yusuf, Le livre de l’impôt foncier cit., pp. 100-101.
¹¹ Abu Yusuf, Le livre de l’impôt foncier cit., pp. 301-302.
¹² Abu Yusuf, Le livre de l’impôt foncier cit., p. 310.