Taqiyya e Kitman, la santa ipocrisia
Ogni religione che si rispetti dovrebbe proibire di mentire. Maometto si espresse chiaramente circa l’importanza di dire il vero:
«Dovete dire la verità, perché la verità porta alla virtù e la virtù conduce in Paradiso, e colui che cerca sempre il vero alla fine sarà ricordato da Allah come un uomo onesto. Ma astenetevi dal mentire, perché la menzogna porta all’abiezione e l’abiezione conduce nelle fiamme dell’Inferno, e colui che preserva nella menzogna sarà ricordato da Allah come un uomo falso.» (Sahih Muslim – Libro 32, numero 6309)
Eppure l’Islam permette il raggiro e la falsa testimonianza, a condizione che l’obiettivo finale sia la gloria delle fede stessa. Il divieto della menzogna è infatti un principio il cui valore, come molte altre norme dell’Islam, si limita alle relazioni tra i fedeli musulmani. Parlando degli infedeli – e in particolare dei nemici dei musulmani – Maometto enunciò un principio decisamente diverso:
«Guerra è inganno» (Sahih Bukhari – Volume 4, Libro 56, Numero 3030)
Nella traduzione del Corano a cura di Hamza Piccardo, l’autore della traduzione commenta così il versetto 3:172:
“Continua la narrazione dei fatti relativi alla battaglia di Uhud. […] un idolatra, amico dei musulmani, fu incaricato di portare false notizie al campo meccano, raccontando della mobilitazione dell’intera città di Medina. Confusi dall’espediente e dall’astuta operazione di disinformazione attuata dai musulmani, i Quraysh decisero di ritornare al più presto alla Mecca”
Lo stesso Corano predica a sua volta la dissimulazione:
«I credenti non si alleino con i miscredenti, preferendoli ai fedeli. Chi fa ciò contraddice la religione di Allah, a meno che temiate qualche male da parte loro. Allah vi mette in guardia nei Suoi Stessi confronti. Il divenire è verso Allah.» (3:28)
In altre parole – ammonisce il Corano – i musulmani non devono fare amicizia con i non musulmani se non per guardarsi da loro. Essi si devono fingere amici ma non devono sviluppare un vero sentimento di amicizia.
In un altro versetto dice:
«Quanto a chi rinnega Allah dopo aver creduto – eccetto colui che ne sia costretto, mantenendo serenamente la fede in cuore – e a chi si lascia entrare in petto la miscredenza; su di loro è la collera di Allah e avranno un castigo terribile.» (16:106)
I termini con cui ci si riferisce a questo tipo di menzogna (video), che il più delle volte consiste nel rinnegare esteriormente la propria fede, è taqiyya. Il principio affine è quello della kitman (“riserva mentale”) e consiste nel dire la verità ma non tutta, allo scopo di portare fuori strada il nemico.
Vari hadith mostrano che il principio della taqiyya veniva messo in pratica già dalla primissima generazione di musulmani:
Narrato da Jabir Abdullah:
Il Messaggero di Allah disse, ‘Chi è pronto ad uccidere Ka’b bin al-Ashraf? Ha proferito parole ingiuriose e ha danneggiato Allah e il Suo Apostolo.’ Maslamah si alzò e disse, ‘Vuoi che sia io ad ucciderlo?’ Il Profeta proclamò, ‘Si.’ Maslamah disse, ‘Quindi permettimi di mentire così che io sia in grado di ingannarlo.’ Muhammad disse, ‘Puoi farlo.’” (Sahih Bukhari – Volume 5, Libro 59, Numero 369)
E’ anche a causa di questa dottrina che un sincero tentativo di “dialogo” con l’Islam diventa estremamente difficile, dal momento che a costituire una delle due parti a confronto c’è qualcuno che, se messo alle strette, può sentirsi autorizzato dal suo stesso Dio a mentire.
Questo principio va tenuto sempre ben a mente quando vediamo in televisione un portavoce dell’Islam professare la sua amicizia verso gli infedeli, la sua lealtà alle leggi dello Stato in cui vive o la natura pacifica e democratica dell’Islam.
“Nella storia del sunnismo la taqiyya non è mai caduta in disuso, anche presso i più scrupolosi.” [Dizionario del Corano, a cura di Mohammad Ali Amir-Moezzi, Mondadori, pag. 219]
Nell’archivio storico di Panorama si può ancora trovare il servizio di Silvia Grilli sul caso del dissimulatore Tariq Ramadan: C’è un islam che vuole convertirci.